lunedì 15 aprile 2013

BOSTON, LA GUERRA DOVE NON TE L'ASPETTI


 
Stasera l’orizzonte si allarga, e all’orizzonte si vedono solo fumo, fiamme e morte. Stasera è il caso di parlare di quanto è sporca la guerra, che si infila proprio dove sta andando in scena la festa. Succede quasi sempre così, la guerra non ha pietà per i bambini, per gli anziani, per i civili, non è roba che si risolve tra mestieranti del male ma invade le case e le vite della gente che non vorrebbe mai incontrarla.
Ora è successo a Boston, e ci vorrà un po’ di tempo per inquadrare le cose, per capire di chi sia la mente vigliacca che ha pensato questa barbarie, la mano criminale che l’ha messa in atto. Si può solo ragionare sul fatto che non è un caso.
Come sempre, in questi gesti maledetti, è stato preso di mira un simbolo. Non una maratona, ma “la” maratona. La più antica, la più gloriosa, la più affascinante. Quella delle sette vittorie di Clarence DeMar. Quella che consacrò la leggenda di Bill Rodgers, “Boston Billy”. Quella del “duello al sole” tra Alberto Salazar e Dick Beardsley. Quella in cui per la prima volta una donna, Katherine Switzer,  riuscì ad iscriversi di nascosto, ingannando gli organizzatori perché allora (e stiamo parlando del 1967, non di cent’anni fa) l’idea che le donne potessero correre per 42 chilometri sembrava ancora fantascienza.
Quando si vuole colpire al cuore, far male alla testa oltre che al fisico, si agisce così. E’ un’organizzazione del terrore, ispirata da una follìa scellerata, ma dannatamente lucida nel prevedere le conseguenze delle proprie azioni. Colpire là dove non ci si aspetta il male. Come in mezzo a 27mila persone arrivate da 96 nazioni del mondo, che si lasciano coinvolgere e trascinare da una festa collettiva. Un giorno di sport globale, e lo sport (si sa) quando è ispirato dalla passione tende ad abbassare la guardia. Non ha difese perché non immagina di doversi difendere.
E’ il Patriots Day, a Boston. Altro simbolo, quasi certamente non secondario per chi ha scelto di colpire. Ed è da sempre il giorno della corsa. Della vita. Non riesco a pensare a qualcosa di più vigliacco che interromperlo così, questo inno alla vita. La maratona è pace, la corsa è un abbraccio al mondo. La maratona sa rinascere sulle ceneri, lo dimostrarono a New York nemmeno due mesi dopo l’11 settembre. Rinascerà anche Boston. Reagirà. Ma oggi sta contando i suoi caduti, i morti e i feriti. Ha lo sguardo perso nel vuoto e mille domande che non potranno avere risposta, nemmeno se e quando si saprà la verità. Perché sono domande sulla natura umana, sulle capacità del male, sui deliri che ispirano le menti malate della guerra.
Oggi la maratona è anche questo. Un posto dove si fa la guerra. E non l’avremmo mai immaginato.