martedì 24 gennaio 2017

ANNIVERSARIO



Ricordare la vita, non la morte. Oggi sarebbero sessantasei. Difficile anche solo immaginarli. Buon anniversario, comunque, ragazzo di Coos Bay.

giovedì 19 gennaio 2017

CIAO EZIO, HAI ONORATO QUESTA CITTA'


di Marco Tarozzi

Gira e rigira, si finisce sempre lì. Davanti a quell'immagine in bianco e nero. Dentro c'è la rapidità, la scaltrezza, il guizzo impossibile. Tutto quello che era Ezio Pascutti in campo. E c'è lo sguardo di Tarcisio Burgnich, un po' stupito per quella maglia rossoblù che gli scivola via da sotto, un po' allarmato perché in quell'attimo esatto sa già come andrà a finire. Si finisce sempre lì, incantati davanti alla foto di Maurizio Parenti, lo scatto felice di un Bologna-Inter del '66. Ezio, quando si trattava di ricordarla, vale a dire quasi sempre, era orgoglioso e allo stesso tempo minimizzava.
“E pensare che io ne ho fatti di migliori. E soprattutto ne ho fatti centotrenta, senza tirare lo straccio di un rigore. Se posso dire la mia, per me il più bello è stato il centesimo. Lo segnai contro il Genoa, contro Da Pozzo, una meraviglia. Cross a rientrare dal fondo di Maraschi, io mi tuffai al limite dell'area e infilai il pallone all'incrocio dei pali. Perfetto. Solo che quella volta lì non c'era nessuno a fermare l’attimo. Così, tutti se lo sono dimenticato”.

C’è tanto di lui in quell’immagine di Parenti, che la famiglia ha voluto offrire anche prima dell’ultimo viaggio a quelli che sono andati a salutare Ezio Pascutti alla cattedrale di San Pietro. Ci sono i motivi della sua immortalità. E ci sono la sua vita, le sue origini, amici e avversari che hanno lasciato il segno. Infanzia dura, di quelle che temprano. Due fratelli più grandi che la vita allontana da lui. Enea, il maggiore, emigra in Canada quando Ezio ha undici anni. Tornerà in tempo per vederlo calciatore professionista, ma un male vigliacco lo porterà via a nemmeno quarant'anni. Paride invece lo porta via la guerra, o meglio lo riporta a casa che è l'ombra di sé stesso, dopo la prigionia in Germania. Ezio cresce forgiando quel carattere, quella rabbia che riverserà in campo buttandosi tra le gambe dei difensori, senza paura. Il coraggio di chi sa di avere avuto la grande occasione, ma teme che in qualunque momento il sogno possa spezzarsi. Segue fin da bambino, calciando palloni in oratorio, i consigli di Enea. “Impara a calciare di sinistro, ragazzino, che in Italia dopo Carapellese non è più nata un'ala sinistra degna di questo nome”.



“Devo tutto a Gipo Viani” raccontava Ezio. “Fu lui a volermi al Bologna. Prima avevo giocato a Pozzuolo, e nel Torviscosa. Mi feci notare perché ero veloce e segnavo a raffica. Qui arrivai nel '54. Non mi sono più mosso”.
Né durante la carriera, né dopo. In campo, una vita spesa per i colori rossoblù. E anche qualcos'altro. Le ginocchia, soprattutto: ai tempi, Pascutti diventò un fedelissimo del professor Gui. Cinque operazioni e quella gamba che lo ha poi fatto dannare nella vita dopo il calcio, anche nel rito quotidiano della passeggiata nel suo territorio, rimasto sempre lo stesso. Via Riva Reno, l'indirizzo di sempre, e il centro attraversato tra Marconi, Lame, San Felice. Incroci di sguardi, saluti spontanei. “Ogni tanto passa uno e mi fa “ciao Ezio”. Io rispondo ciao, che altro dovrei fare?”.

Salutava chiunque, Ezio, e salutava Bologna. La sua città. Che gli ha dato, e a cui lui ha dato tanto. Che a volte è entrata in tackle sulla sua esistenza. Che qualche anno fa si ricordò di questo friulano diventato più bolognese di tanti che qui sono nati, premiandolo con la Turrita d'Oro, uno dei premi più prestigiosi assegnati dal Comune. Quel giorno, Ezio si commosse fino alle lacrime.
I giorni felici dello scudetto, quelli amari dell’esclusione dalla Nazionale per un gesto di esasperazione che venne amplificato al massimo volume, e divenne quasi un caso diplomatico. Una bandiera: 294 partite, 130 gol per il suo Bologna. E mai un rigore.

Per tutto questo, per il suo sorriso che passava anche attraverso le tempeste della vita, siamo andati a salutare Ezio Pascutti in cattedrale. Promettendogli che non lo dimenticheremo mai.