sabato 26 luglio 2014

POMPILI, QUEL BOLOGNESE SUL K2



 “Oggi alle 15 ore loc. Tam, io e Amin eravamo in vetta al K2, senza ossigeno. Solo il cielo sopra di noi ma coperto… 17 da c4. Bello!”.

Un tweet. E non si può chiedere di più, sinceramente, a uno che ha viaggiato per quasi diciassette ore, senza ossigeno, a quota 8000, guardando sempre verso l’alto. Diciassette ore, dal campo 4 alla vetta, per regalarsi un sogno. Ce la racconterà meglio domani la sua impresa, Giuseppe Pompili, il bolognese che non smette neppure un attimo di pensare all’Himalaya, dall’ultimo piano del palazzo di via Bellaria in cui vive. Un alpinista di pianura che ha già lasciato più volte il segno del suo passaggio, e del suo modo di intendere le salite, sulle grandi cime del mondo.

Lo aveva fatto, prima di oggi, sull’Everest, la montagna più alta della Terra, salendo dalla cresta nord-est in solitudine, e prima ancora sul Cho Oyu. Lo aveva fatto ultimando la salita delle “Seven Summits”, le più alte vette di ciascuno dei sette continenti, terzo italiano assoluto e secondo nella combinata (Carstensz e Kosciuszko), dopo Reinhold Messner. Ma il K2 ha un fascino e un’attrazione che forse nessun’altra cima emana. Giuseppe l’aveva già tentata due volte, sempre con lo stesso approccio: spedizione limitata, due o tre persone al massimo, niente ossigeno, niente sherpa a fare il lavoro sporco. Alla cima era arrivato vicino, così come a quella del Nanga Parbat, e non si è trattato di insuccessi: semplicemente, Pompili può mettersi in azione sfruttando “finestre” di bel tempo limitate, non avendo la forza, né le risorse economiche, delle grandi spedizioni.

Per questo il successo di questa salita vale doppio. Perché è stato inseguito, voluto, conquistato rispettando la montagna. E anche perché era deciso che sarebbe stata l’ultima volta. Lo aveva spiegato lui stesso, in procinto di partire. Così. “C’è un demone che ciascuno di noi deve seguire. Il mio si chiama K2. Mi voglio regalare un ultimo tentativo nel 60esimo anniversario della salita prima di chiudere una volta per tutte con gli 8000, cogliendo questa occasione unica e irripetibile. C’è un tempo per ogni cosa, e non occorre scomodare l’Ecclesiaste per saperlo. Il mio tempo alle alte quote sta finendo e non solo per questioni anagrafiche. Ultimamente mi sento un po’ come un dinosauro, un appartenente a un tipo di alpinismo in via d’estinzione. I grandi mutamenti di questi ultimi anni stanno cancellando la figura dell’alpinista medio, non turista d’alta quota ma neppure professionista sponsorizzato. E’ perciò che – con intima soddisfazione personale – mi accingo a compiere il mio ultimo tentativo in completa autonomia, anche economica. La libertà ha un prezzo, che in questo caso pago volentieri”. Sì, Giuseppe Pompili è un uomo libero. E per una buona mezz’ora, questo pomeriggio, ci ha guardati tutti dall’alto, rigirando tra le mani il suo sogno diventato finalmente realtà. Un sogno chiamato ChogoRi, in lingua Balti. Significa, semplicemente, “Grande Montagna”. Confidenzialmente, K2.