lunedì 26 luglio 2010

Cusma, due giri per un sogno



di Marco Tarozzi

Elisa Cusma, pronta per l’assalto all’Europa?
«Diciamo che è tutto okay. Le sensazioni sono buone, la condizione c’è e la marcia di avvicinamento è andata come doveva andare. Sono fiduciosa».
L’ultimo atto a Montecarlo, giovedì sera. In Diamond League ha corso gli 800 in 1:59:13, miglior prestazione stagionale.
«Sì, e prima c’era stato l’1:59:26 di fine giugno. Se guardo alla media, sono anche leggermente in vantaggio rispetto agli anni passati».
Ottimista, dunque.
«Tranquilla, con la coscienza a posto. E consapevole che poi a Barcellona tutto si azzererà, e che lì bisognerà tirar fuori una prestazione ad altissimo livello».
Come se l’immagina, la corsa alla finale?
«Forse non serviranno tempi esagerati in batteria e semifinale, ma bisognerà comunque correre forte. Siamo tutte lì, a pochi decimi di distanza una dall’altra. Dunque conterà tutto, ovviamente anche la tattica di gara. Non bisogna sbagliare, a quei livelli».
Ci dica quale sarà la sua, di tattica. Tanto le avversarie non ci leggono...
«Cercherò di stare sempre nei primi posti. Un po’ perché, come credo di aver dimostrato, io sono fatta così, non riesco a guardare la gara da dietro e preferisco avere il controllo della situazione. Non sono un bisonte, se nel finale c’è da uscire a spallate faccio fatica. E poi, in gare di così alto livello tecnico restare imbottigliati rischia di essere un suicidio».
Che ne pensa Claudio Guizzardi, il suo tecnico? Anche lui ha buone sensazioni?
«Claudio sa che sto bene. Dice che devo stare tranquilla e giocarmi le mie carte, che ci vuole solo un po’ di testa e di convinzione. So che ha ragione. Poi, sia io che lui sappiamo benissimo che dietro a un grande risultato ci sono tante componenti. La preparazione, la condizione, ma anche quella dose di fortuna che può cambiarti il destino in una corsa. Tutto serve, in un campionato europeo».
Nelle grandi occasioni lei non ha mai tradito. Ha sempre dato il massimo.
«Se arrivi alla finale fare calcoli diventa difficile. Se le cose vanno come sono sempre andate, per agguantare una medaglia serve il primato personale, o un tempo almeno vicino al limite. Credo che sarà così anche stavolta. Dunque, dare il massimo è un imperativo».
Chi vede favorita, in questa corsa all’oro?
«La russa Mariya Savinova sta veramente tanto, tanto bene. Fino ad oggi ha dimostrato di avere qualcosa in più rispetto a tutte le altre, me compresa. L’ho incontrata a Zurigo a fine giugno, lei è arrivata prima e io seconda, e mi ha impressionata. Per come l’ho vista io, è la candidata numero uno alla vittoria».
A proposito di gare d’attacco: a Montecarlo il suo passaggio ai 400 è stato incredibilmente veloce. Troppo, forse.
«Sì, siamo passate un po’ forte e io ero nella bagarre. E infatti penso che con un passaggio più equilibrato sarebbe potuto uscire anche il personale, il che mi avrebbe dato una carica ancora maggiore. L’ho pagato, quel passaggio appena sopra i 57. Negli ultimi trenta, quaranta metri ho finito sulle ginocchia. Ecco, a Barcellona spero di incappare in gare senza passaggi folli».
Senza troppa diplomazia: che traguardo si è posta?
«Per me la cosa più importante è raggiungere un’altra finale. Per qualcuno può sembrare scontato, visto che un anno fa ho corso quella mondiale. Ma non lo è, e io lo so bene. Non è così semplice arrivarci, e come ho detto a certi livelli un solo sbaglio può essere fatale. Serve una condotta di gara impeccabile, al limite della perfezione».
Mettiamo il condizionale, allora: se poi la finale arrivasse?
«Allora accendo il canale dei sogni. Inseguo una medaglia, sarei bugiarda a negarlo».
E pensa di essere all’altezza del compito?
«Non credo di essere una persona immodesta, mi conoscete. So stare coi piedi per terra, non faccio proclami, non mi passa per la testa di essere la più forte. Però, come ho detto, siamo tutte lì, in una manciata di decimi. E allora sì, dico che prendersi un posto sul podio è un’impresa dura, difficilissima, ma non fuori portata».
Un sogno possibile, diciamo così?
«Sì, mi piace come definizione. Rende l’idea. E realizzarlo sarebbe il massimo della vita».

ELISA CUSMA è nata a Bologna il 24 luglio 1981. Figlia di Lucio, stella del pugilato italiano, allenata da Claudio Guizzardi, gareggia per l’Esercito. Conta 11 presenze in Nazionale. Ai Mondiali di Osaka, nel 2007, ha sfiorato la qualificazione alla finale degli 800 metri. L’obiettivo l’ha invece raggiunto un anno fa a Berlino, dove ha chiuso al sesto posto assoluto. Terza agli Euroindoor di Torino, due ori ai Giochi del Mediterraneo 2009. Sulla distanza ha un personale di 1:58:63, ottenuto proprio ai mondiali giapponesi di tre anni fa.

L'Informazione di Bologna, 26 luglio 2010

sabato 24 luglio 2010

Valentino in Ducati senza il "guru"?



di Marco Tarozzi

Ormai è il segreto di Pulcinella. Tra Valentino Rossi e Ducati l’accordo c’è, manca solo l’annuncio ufficiale che finora, rispetto alle previsioni, ha già subìto diversi slittamenti. Da qualcuno era atteso già ad Assen, poi si era parlato di Montmelò, e ancora del Sachsering. Ora si dà per scontato che non arriverà nemmeno a Laguna Seca. E questo ha alimentato anche qualche dubbio, perché il Dottore non ha mai fatto le sue scelte con largo anticipo, e d’altra parte ha già rifiutato la Rossa di Borgo Panigale più volte (cosa che non passa inosservata tra i “ducatisti” duri e puri, di cui Vale dovrà conquistarsi la simpatia). Filippo Preziosi, grande amico del talento di Tavullia e artefice dell’operazione “Rossi sulla Rossa”, lo ha pressato proprio per evitare l’ennesimo “no, grazie”. Che questa volta non ci sarà. Valentino ha scelto. La caduta del Mugello e la virata netta della Yamaha a favore della gioventù di Lorenzo hanno sciolto le ultime riserve. Per accettare la nuova avventura aveva messo una posta alta: si parla di un aumento contrattuale prossimo ai quattro milioni, la certezza di avere con sè il suo team personale e l’escape per la Formula Uno, destinazione Ferrari, a metà di un contratto biennale. Con il supporto, potente, di Marlboro, la Ducati lo ha accontentato.
ANNUNCIO A BRNO - In Germania, Rossi ha messo un paio di punti fermi. Stoccata alla Yamaha («Non mi vogliono? Si vede che son diventato vecchio...») e annuncio che più chiaro non si può: «Parlerò del mio futuro dopo la gara di Brno, a metà agosto». Non è un modo per gettare fumo negli occhi. È la verità, e c’è di mezzo un gran premio negli Stati Uniti, terra fertile per Yamaha (come del resto per la Ducati). La casa di Iwata arriverà sul circuito californiano, a poche miglia dalla baia di Monterey, vestita a festa, e con Lorenzo in cima alla classifica. Arrivasse lì, l’annuncio del Dottor Rossi, sarebbe uno sgarbo. E il campione, di questi tempi, avrebbe parecchi sassolini da togliersi dalle scarpe. Meglio stare tranquilli, magari assicurandosi con un gentlemen agreement: nessun annuncio di Rossi e Ducati, e in cambio i giapponesi chiuderanno un occhio a fine stagione, dando la possibilità al pilota di salire sulla Desmosedici già dopo l’ultima di campionato, a Valencia, invece di attendere fino al termine del contratto, in fondo al 2010.
BURGESS CON STONER? - Così stanno dunque le cose, ma intanto dai paddock trapelano altre notizie, annunciando quello che sarebbe un clamoroso divorzio. Vale vuole con sè a Borgo Panigale Jeremy Burgess, lo storico capomeccanico che con lui ha vinto sette mondiali, una colonna del suo successo. Ma il tecnico australiano sembra deciso, a sua volta, a fare un cambio di vita epocale. Ovvero ad accasarsi in Hrc Honda, per un clamoroso ritorno, dove lo attendono Livio Suppo e soprattutto Casey Stoner, che raggiungerà a fine stagione l’ex team manager della Rossa.

L’Informazione, 22 luglio 2010

martedì 20 luglio 2010

Don Arturo guarda ancora in alto



di Marco Tarozzi

L'elisir di eterna giovinezza, don Arturo Bergamaschi deve averlo trovato ad alta quota. E se adesso, con ottantadue primavere sulle spalle, certe vette oltre quota seimila preferisce non salirle più, può ancora permettersi di guardarle da molto vicino. Più vicino di quanto succeda alla maggior parte di noi. Con gli anni il suo fare alpinismo, che ha affascinato tanta gente e ne ha fatto un'autorità in fatto di spedizioni in giro per il mondo, si è trasformato in trekking. D'alta quota, però. Impegnativo anche per fisici preparati.
Lui ci scherza su. “Il mio allenamento? Sono sempre in giro per Bologna, e la macchina non so più cosa sia. Inforco la bicicletta e via, con qualunque clima”.
Adesso che l'estate fa sul serio, però, è arrivato il momento di partire. Per la spedizione numero quarantasei di una brillante carriera da alpinista-ricercatore. Quarantasei, con beneficio d'inventario. “Ma sì, deve essere così, anche se ormai ho quasi perso il conto. Pensare che mi avvicinai alla montagna quando ero seminarista, per una convalescenza dopo una broncopolmonite. Ha presente quegli amori a prima vista? Si può dire che non sia quasi più sceso”.
La prossima avventura inizia venerdì prossimo, e durerà fino al primo agosto. Destinazione Ladakh, nel nord dell'India. Lo chiamano Piccolo Tibet, incastonato com'è tra le catene del Karakorum e dell'Himalaya. Un paese dove buddisti, oltre la metà della popolazione, e musulmani sciti (la percentuale di induisti è minima) riescono ancora a convivere in armonia ed equilibrio. Culture e credenze diverse, a cui don Arturo si apre con curiosità da quando, spiega sorridendo “ho intrapreso questa vocazione da prete vagabondo, che va sempre in giro alla ricerca del prossimo”. E se il prossimo è apparentemente così distante, meglio ancora. Ne nascono situazioni uniche, come una messa officiata oltre quota cinquemila a cui si aggregano, ognuno con le sue modalità di preghiera, uomini di diverse religioni, che in quei luoghi dove la solidarietà prevale non sanno essere nemici.
Il viaggio in Ladakh di don Bergamaschi è per pochi. “Partiamo in quattordici, questa volta. Da Leh, la capitale, e non tutto il tracciato è certo. Di sicuro vedremo il monastero di Hemis, il più importante di quel paese, e non dimenicheremo la visoone mozzafiato del gompa del monastero di Rizong, che si staglia circolare in fondo a un canyon. O l'incredibile oasi di Tingsmogang, la valle più verde e fertile di quella terra. Non sarà un trekking comodo, questo no. Viaggeremo sempre tra i 4000 e i 5000 metri, sette ore al giorno per un totale di venti, venticinque chilometri con dislivelli tra i 600 e i 1000 metri. E sfioreremo vette himalayane, di oltre seimila metri, che ho già salito con altri compagni nella spedizione del '97”.
L'ennesimo atto d'amore per la montagna di un sacerdote di ferro (classe 1928) dal cuore ragazzino. Quarant'anni dopo la prima grande spedizione, in Kurdistan nel 1970. In mezzo, appunto, altri quarantasei viaggi ad alta quota, quasi duecento tra prime ascensioni assolute e vie nuove, un lavoro di ricerca spesso scientifico che ha coinvolto grandi specialisti e aiutato la scienza a progredire. Non è solo questione di passione, anche se don Artuto, con la solita ironia, minimizza. “Il fatto è che andare in quota è la mia medicina. E con i trekking perdo sali e recupero salute”. Tutto vero, ma la questione è molto più profonda. Buon viaggio, allora. Una volta di più.

L'Informazione di Bologna, luglio 2010

giovedì 1 luglio 2010

Rossi e la Rossa, sogno possibile



di Marco Tarozzi

La notizia non è nuova. Però è la prima volta che una rivista la spara in prima pagina, come cosa fatta. “Rossi alla Ducati”, titola la britannica MCN, ovvero Motorcycle News. E assicura che l’annuncio è alla porte: Valentino Rossi e la scuderia di Borgo Panigale potrebbero ufficializzare il matrimonio già durante il prossimo weekend, al GP di Catalunya. La notizia arriva a MCN attraverso un addetto ai lavori che ovviamente chiede l’anonimato: «Lo so per certo, l’accordo è fatto: Un mese fa sembrava impossibile, ma Valentino sarà alla Rossa la prossima stagione».
Un mese fa non sembrava esattamente impossibile, perché il corteggiamento della casa di Borgo Panigale al Dottore parte da lontano. Ma di sicuro i ritmi erano più lenti, e le parti non sembravano così vicine. C’era ancora molto da fare, da decidere. Da riflettere, nel caso del diretto interessato.
Poi qualcosa è cambiato. Esattamente il 5 giugno. Al Mugello, durante le prove del Gran Premio d’Italia, Rossi ha subìto il primo infortunio davvero serio della carriera, compromettendo la stagione. Ed essendo un ragazzo intelligente, dai movimenti registrati in Yamaha ha capito che lì non avrebbe più avuto carta bianca. La casa giapponese, che soprattutto grazie a lui è risalita ai vertici della MotoGP, pur non scoprendo le carte ha preso una strada precisa. Punta su Jorge Lorenzo, sui suoi ventitré anni e sulla sua voglia di essere leader. E per Vale una convivenza da sempre difficile diventerebbe impossibile. Con i suoi crediti e la sua bacheca pretenderebbe un’attenzione speciale che la casa di Iwata non pare più disposta a dargli.
Di qui, dunque, la più che possibile accelerazione dei tempi. Rossi aveva di fronte altre strade. Un ritorno in Honda che non lo convinceva, una porta aperta in Formula Uno grazie alla Ferrari («ma non credo che Vale sceglierà le auto», aveva commentato papà Graziano, che lo conosce bene). Oppure questa. Intrigante, affascinante. Un campione italiano, e che campione, in sella a una moto italiana. Per creare un binomio vincente e agguantare quel traguardo che manca da trentotto anni (Agostini-MV, 1972) nella classe regina, e che la malasorte ha vietato a Loris Capirossi nel 2006.
Se entro domenica avremo la certezza dell’accordo (biennale), inizierà il domino dei piloti a fine contratto, con Casey Stoner ormai in viaggio verso la Honda e Ben Spies che potrebbe diventare ufficiale in Yamaha, accanto a Lorenzo. Su una Ducati, quella privata del Team Pramac, dovrebbe tornare anche l’altro “grande vecchio” del motociclismo italiano, Loris Capirossi, che oggi sta a galla faticosamente su una Suzuki senza futuro.

L'Informazione di Bologna, 1 luglio