lunedì 1 novembre 2021

ANTONELLI, QUEL "FUCILE" CHE PARLA DI PACE


 di Marco Tarozzi

BOLOGNA

 “Ma non ci vogliono perché siamo neri?”. Non è facile rispondere a questa domanda, se te la fa un ragazzo a cui hai aperto la strada dei sogni grazie alla pallacanestro. Non è facile nemmeno per uno come Massimo Antonelli, che è abituato a spendersi perché lo sport mandi sempre un messaggio di inclusione. Lo ha fatto in passato con diversi progetti, e lo sta facendo da qualche tempo a Castelvolturno con i ragazzi della Tam Tam Basket, squadra composta da italiani di seconda generazione, tutti nati tra Napoli e dintorni ma figli di immigrati. Italiani veri, che però lo saranno a tutti gli effetti al compimento della maggiore età. E che pur avendo vinto, uniti in questo team dei sogni, il campionato regionale Under 15 nel 2019, oggi che la pandemia lascia un po’ di respiro e speranza di futuro non possono iscriversi a quello nazionale Under 17, come spetterebbe loro, perché lì la regola vuole un massimo di due stranieri per squadra. E loro sono stranieri, anche se parlano in napoletano. Difficile spiegare a un ragazzo che deve smettere di sognare, nemmeno Massimo Antonelli ci riesce, e allora preferisce battersi perché qualcosa cambi in un regolamento che non cammina veloce come la vita fuori.

CITTADINO DEL MONDO. Antonelli a Bologna se lo ricordano tutti molto bene. Era uno dei campioni della Virtus di Dan Peterson, che riportò a Bologna lo scudetto nella stagione 1975-76, dopo un’assenza durata vent’anni. Non un comprimario, un protagonista assoluto. Alto 193 centimetri, era cresciuto ad Altopascio, dove il padre faceva l’appuntato dei carabinieri, e poi a Chieti, prima di approdare da junior nelle giovanili bianconere. Fu Tracuzzi a capire che utilizzarlo da centro o da ala sarebbe stato uno spreco, per il fosforo che produceva. Divenne così uno dei playmaker più alti d’Italia, quando ancora l’idea del regista lungo e prestante non era comune. Era un bel personaggio anche allora: capelli lunghi, vita da cittadino del mondo, studiava architettura a Firenze e andava a seguire le lezioni su una vecchia Dyane. E a Gianfranco Civolani, in un’intervista, diceva “forse farò il petroliere, forse commercerò in noccioline in Brasile, magari farò il barman per poter vivere, magari farò anche l’architetto, pul darsi”.

LA MORTE, SECONDO LUCIO. Peterson lo chiamava “Fucile”, perché era un tiratore micidiale e risolveva problemi. E lui impiegò mesi a capire che quel tifoso che nelle partite punto a punto invocava “Morte!” era Lucio Dalla in persona. Fu proprio Lucio a spiegargli perché: “niente è più gelido e freddo”, proprio come lui quando tirava.
Invece il cuore di Massimo è grande, e batte per i giovani. Da tempo ha inventato il “Music Basketball Method”, per insegnare i fondamentali con idee che hanno conquistato non solo l’Italia, ma anche Nord Europa, Sud America, Canada. Nel 2016 ha fondato Tam Tam Basketball insieme ad Antonella Ceccato, Pietro D’Orazio, Guglielmo Ucciero e al fratello Prospero. Un progetto sociale, di riscatto attraverso lo sport. Già i suoi ragazzi avevano potuto affacciarsi al campionato regionale Under 15 grazie a una deroga della Fip, che si chiama proprio “Salva TamTam”. Ora, però, c’è un muro molto più alto da superare. Il gruppo avrebbe voluto misurarsi a livello nazionale, ma la regola dei “due stranieri per squadra” li tiene al palo. E lo stesso presidente Petrucci ha parlato di “mancanza di accordo tra i dirigenti delle altre squadre”, ragion per cui
sono a rappresentarle l’impossibilità di dar seguito alle richieste pervenute”. E Massimo, che questa realtà la conosce come le sue tasche, non ha trovato parole per spiegarlo ai suoi giocatori.

LA GRANDE OCCASIONE. “Abbiamo perso anche il ricorso al Tar, ma continuo a ritenere un’ingiustizia che i figli di stranieri nati in Italia non abbiano nello sport gli stessi diritti degli altri. C’è stato un grande movimento di opinione, la gente mi dice di non mollare e dico la verità, vedo anche uno squarcio di sereno in questa storia. Un ripensamento sarebbe una splendida occasione per tutti, ma accettare una nuova deroga salverebbe i miei ragazzi, non risolverebbe il problema. L’ideale sarebbe adattare uno Ius Soli sportivo a livello federale, che non risolverebbe solo il problema di Tam Tam, ma quello di un milione di ragazzi che cercano un riconoscimento del proprio status attraverso lo sport. Sarebbe una grande opportunità per la stessa Federazione e per tutto lo sport italiano”.

GIOCHI SENZA BARRIERE. “Mi sembra di portare avanti una guerra contronatura”, sorride Antonelli. “La Fip per me è una madre adottiva, mi ha aperto le porte del basket a dodici anni, ed ero in campo nella partita della Nazionale Juniores con cui si festeggiò il cinquantenario. Ma è una questione di umanità: qualsiasi barriera che si frappone tra i giovani e il gioco è un ostacolo alla loro formazione come persone. E pensate a quale ricchezza sarebbe poter includere in modo totale un milione di ragazzi che si sentono italiani grazie all’abbraccio dello sport”.
Per questo “Fucile” va avanti. Deciso come quando arrivava il momento di cambiare le sorti di una partita, e lui sapeva che tutto passava dalla sua testa e dalle sue mani.

Più Stadio, 1 novembre 2021