lunedì 30 maggio 2016

ORLANDO MAINI, UN BOLOGNESE (FELICE) AL GIRO D'ITALIA



L’ ex-pro è il “diesse” della Lampre-Merida di Diego Ulissi
“Due vittorie, tante emozioni e l’amore della gente. Il ciclismo che amo”

di Marco Tarozzi

Ho visto anche degli zingari felici. Sono quelli che in un modo o nell’altro, da corridori, tecnici, dirigenti o addetti ai lavori, fanno parte della carovana del Giro d’Italia, un lungo viaggio conclusosi ieri a Torino. Quasi un mese in giro per la penisola, attraversandola da sud a nord, dopo una partenza all’estero, un’anomalìa diventata consuetudine: quest’anno la miccia si è accesa in Olanda, e nelle ultime tappe si è anche viaggiato, ad alta quota, sulle strade di Francia.

Lì in mezzo, in quella carovana che ha saputo risvegliare l’emozione della gente, c’è un bolognese che di ciclismo professionistico alle spalle ne ha tanto da scriverci un libro. Che potrebbe averne anche abbastanza, non fosse che l’entusiasmo è ancora quello di quando a correre era lui. Nel cuore della corsa rosa c’è il sorriso, l’esperienza, l’approccio sempre positivo di Orlando Maini, direttore sportivo della Lampre-Merida, la squadra che ha portato a casa anche due tappe grazie al talento di Diego Ulissi. Saldo positivo, per la squadra del presidente Galbusera, e ovviamente per chi ha saputo guidarla nel migliore dei modi fino a Torino.

“Siamo soddisfatti”, attacca Maini. “Per i due successi di Diego, naturalmente, ma anche per come si sono comportati i nostri ragazzi in gara. Questo è un gruppo molto unito, e l’ha dimostrato in queste tre settimane. Il nostro obiettivo, alla vigilia del Giro, era poterci trovare ogni sera a cena con la certezza di aver dato tutto quanto era nelle nostre possibilità. E in questo senso io considero la missione perfettamente riuscita”.

Poi, naturalmente, portare a casa due tappe ha un sapore ancora più dolce. Lo sa bene Orlando, che quando correva riuscì a far sue le tappe di Soria alla Vuelta dell’84 e di Jesi al giro dell’85.

“I successi di Ulissi sono stati momenti importanti, anche per come sono maturati. Ma non dimenticherei i due quarti posti in tappe di montagna, i piazzamenti di Modolo allo sprint, il terzo posto di Conti nella classifica finale per la maglia bianca, destinata al miglior giovane. Tutte prove del buon lavoro fatto da tutta la squadra, dal primo all’ultimo giorno”.

Ci si chiede se un Ulissi così non sarebbe più adatto a cercar fortuna nelle grandi classiche, più che nelle corse a tappe.

“Alla base di tutto c’è il suo talento incredibile. L’anno prossimo Diego avrà ventotto anni, un’età giusta per la maturazione definitiva anche nelle gare come il Giro. Vedremo, cercheremo di pianificare tenendo conto di tutto. Intanto, ci godiamo quanto di buono ha fatto vedere in questa occasione”.

Certamente anche il Ct Davide Cassani, che ha seguito con attenzione sul campo la corsa rosa dalla prima all’ultima tappa, ha segnato il nome del capitano della Lampre-Merida sul taccuino per il difficile percorso della prova olimpica di Rio.

“Se toccasse anche a lui, sarebbe qualcosa di prestigioso. Cassani farà sapere le sue scelte, e certamente saranno ben argomentate. Diego si muoverà di conseguenza. Certo, il percorso olimpico non sarà una passeggiata, tutti i migliori scalatori saranno in corsa”.

Orlando ha girato l’Italia e ora si prende qualche giorno di riposo, meritatissimo, nella sua Bologna.  Concentrandosi sulla corsa alla promozione della Fortitudo, l’altra sua grande passione sportiva. Al Tour la Lampre-Merida porterà un altro Ds. Scelte condivise.

“Il fatto è che per me il Giro d’Italia è la corsa più bella del mondo, sono felice di seguirlo anno dopo anno. Ed è anche la più difficile, la più complicata tra le corse a tappe, a mio parere. Per questo mettersi in luce su queste strade ha un valore immenso. Per questo non vorrei mai mancare a questo appuntamento, nonostante il fascino del Tour”.

Vincenzo Nibali, araba fenice che risorge nelle ultime giornate, ci ha scritto un pezzo di storia del ciclismo, su queste strade. In fondo, è bello esserci anche per poter dire di essere stati testimoni di giornate del genere.

“Il ciclismo è così, e io lo amo per questo. Al pubblico non chiede soldi per un biglietto, ma partecipazione e affetto. Cosa c’è di più bello, per dei tifosi, di trovarsi tutti insieme a mangiare in cima a un passo, aspettando ognuno il proprio beniamino? Quando arriva la gara ognuno tifa secondo il cuore, ma prima c’è questo senso di fratellanza che unisce. Poi, oltre alla grande prova di Nibali, che è entrato di diritto tra i grandissimi del ciclismo, collezionando vittorie in due Giri, un Tour e una Vuelta, escono fuori anche personaggi come Chaves e Kruijswijk, che perdono dopo aver lottato, con una sportività unica, e sono i primi a complimentarsi col vincitore. Hanno avuto problemi, l’olandese in particolare ha fatto una caduta bruttissima scendendo dal Colle dell’Agnello. Ma tutti e due l’hanno spiegata molto semplicemente, con grande umiltà: ha vinto il più forte. E anche in questo c’è la forza e la bellezza di questo sport”.

mercoledì 18 maggio 2016

ADDIO A MCMILLIAN, "DUCA NERO" DELLA VIRTUS


di Marco Tarozzi
Se ne è andato ad appena sessantotto anni, il Duca Nero. Che è stato sogno e delizia di chi ha avuto la fortuna di vederlo giocare, con la canotta della Virtus, capace pure a fine carriera di dispensare il suo basket illuminato, da stella Nba che doveva convivere con gli acciacchi ma aveva dentro uno spirito vincente, una lucidità di pensiero e una visione del gioco da sembrare, ai nostri occhi di appassionati, un eterno ragazzo.
Il popolo della V nera piange Jim McMillian, uno dei suoi più grandi protagonisti, che ieri ha lasciato un po’ più vuoto e smarrito il firmamento del basket. A Bologna era arrivato a trentun’anni compiuti, lui che era nato a Raeford, North Carolina, l’11 marzo 1948. Guardia di 197 centimetri, c’era arrivato dopo una lunga carriera nella Nba, iniziata da prima scelta dei Lakers all’uscita dalla Columbia University,  nel 1970. Due anni dopo sotto la guida di Bill Sharman aveva già conquistato l’anello, il primo della franchigia da quando si era insediata a Los Angeles, in un gruppo da leggenda che comprendeva Wilt Chamberlain, Jerry West, un Elgin Baylor nella stagione del ritiro, ed anche Pat Riley. Da lì, nove anni tra le stelle del basket: tre stagioni a Los Angeles, poi altrettante ai Buffalo Braves, due ai New York Knicks e l’ultima ai Portland Trail Blazers, con una media in carriera di 13.8 punti e 5.3 assist (ma 15.3 punti di media nel triennio ai Lakers, e addirittura 16.4in quello ai Braves).

Fu proprio al termine dell’esperienza di Portland che Jim arrivò a Bologna, altro audace colpo dell’avvocato Porelli, dando ulteriore forza a una squadra che poteva contare su Creso Cosic, Renato Villalta, Charlie Caglieris, capitan Gianni Bertolotti Pietro Generali, e poi Martini, Valenti, Cantamessi, Govoni: la Virtus guidata da Terry Driscoll, campione d’Italia uscente, con l’arrivo del Duca Nero confermò la sua supremazia sulla pallacanestro italiana, battendo in finale di playoff Cantù con un secco 2-0. In quella finale, McMillian scrisse 38 nella partita decisiva.
Riservato, tranquillo, dai modi semplici, in campo McMillian diventava un difensore insormontabile, come ben comprese Bob Morse nella semifinale di quella corsa scudetto, vinta dalla Sinudyne contro Varese grazie al suo lavoro instancabile. Che era fatto di durezza fisica, mai oltre i limiti del lecito, ma anche di tecnica brillantissima. Modi ed eleganza nobilissimi. Da Duca Nero, appunto.
Se McMillian-Cosic era stata una coppia fantastica, splendida fu anche quella dell’anno successivo, stagione 1980-81, quando accanto al Duca di Raerford arrivò il brasiliano Marquinho. Meno baciata dalla buona sorte, però: dopo una marcia trionfale in Europa, con vittorie a Mosca, Madrid e Sarajevo, la corsa bianconera si inchiodò in quella maledetta finale di Strasburgo, contro il Maccabi vincitore per un solo punto, 80-79. In quell’ultimo atto che avrebbe regalato ai tifosi la triste memoria dell’arbitraggio di Van der Willige, Jim McMillian non potè apportare il suo contributo, che avrebbe potuto capovolgere gli equilibri e portare la Virtus sul trono. E anche lo scudetto scivolò via alla fine di quella stagione, in una finale contro Cantù in cui la truppa bianconera restò priva di entrambi i suoi stranieri: sempre out McMillian, fuori causa anche Marquinho.

Jim McMillian è stato, per chi lo ha visto all’opera, un’enciclopedia del basket, illuminatissimo anche quando la condizione veniva meno ed era costretto a rallentare i ritmi. E allora via di intuizioni geniali, di mestiere, di classe cristallina.
Oggi lo piangono i Lakers, per voce del presidente Jeanie Buss. “La sua perdita è un giorno triste per tutti noi, è stato un uomo-chiave nella conquista del nostro primo titolo Nba a Los Angeles”. Da questa parte del’oceano, la Virtus non è da meno, e si unisce al cordoglio della famiglia e degli amici del suo campione. Di Jim McMillian, del Duca Nero che è stato una storia unica e irripetibile, su questi parquet. Un pezzo di storia della V nera.

(www.virtus.it) (RenoNews) - 18 maggio 2016