mercoledì 19 aprile 2023

QUANDO BILL BOWERMAN COMBATTEVA IN APPENNINO

 


Il leggendario allenatore dell’atletica statunitense (e di Steve Prefontaine) partecipò con la 10th Mountain Division alla conquista dei Monti della Riva nel 1945, spezzando la Linea Gotica tedesca

 

di Marco Tarozzi

 

Nella storia dell’atletica, Bill Bowerman ha un posto da protagonista. Praticamente una leggenda. A partire dagli anni Cinquanta, ha alimentato la grande tradizione dei runners dell’Oregon, guidando tra gli altri un mito della corsa come Steve Prefontaine, che uscendo dalla Marshfield High School scelse la University of Oregon proprio per farsi allenare da lui, che era il migliore. E’ stato un pioniere e un divulgatore, anticipando il fenomeno della corsa “per tutti”, il boom che ha portato milioni di amatori a muoversi, attraverso uno dei gesti più semplici che conosciamo, sulle strade del mondo. Ha dato vita a un’azienda che nel tempo è diventata un’icona dell’abbigliamento sportivo, una vera e propria multinazionale, curandone i primi passi da imprenditore “homemade” ma tutt’altro che improvvisato.
Ma prima di tutto questo, Bill Bowerman ha fatto altro. E’ stato un soldato, un ufficiale in tempi di guerra, mettendo ogni sua conoscenza al servizio di un ideale di libertà. Ha partecipato agli ultimi fuochi del secondo conflitto mondiale del secolo scorso, impegnato sui monti dell’Appennino emiliano, a una manciata di chilometri da Bologna, ad organizzare l’offensiva americana contro i tedeschi. Ed è questa storia, questa parte della sua vita certamente meno conosciuta, che vi raccontiamo stavolta.



I GIORNI IN APPENNINO – Bowerman partecipa alla Liberazione nei ranghi della 10th Mountain Division dell’86mo Reggimento, arrivata a Napoli alla vigilia di Natale del ’44 e subito salita a Nord. Una divisione speciale, addestrata in Colorado sulle Rocky Mountain, di cui fanno parte molti maestri di sci e alpinisti, arruolatisi su base volontaria. Tra gli altri, c’è anche Bob Dole, che nel ’94 si candiderà alle presidenziali Usa, contro Bill Clinton. Dole è sottotenente, nell’aprile del ’45 gli toccherà guidare un drappello di una decina di uomini nell’assalto a una località chiamata Torre Jussi, con i tedeschi annidati su una collina, e rischierà la vita, ferito in uno scontro a Castel d’Aiano.
La 10th Mountain Division arriva nella Valle del Dardagna a metà febbraio, con l’obiettivo di conquistare i Monti della Riva e il Monte Belvedere. Sono roccaforti della Wermacht, luoghi strategici da cui i tedeschi possono indirizzare le azioni dell’artiglieria tedesca. Assicurarsi il controllo della “Riva Ridge”, come gli americani hanno ribattezzato la zona, vuol dire sfondare una Linea Gotica fin qui impenetrabile, e assicurare una marcia trionfale per la liberazione di tutta l’Italia.





CLIMB TO GLORY – Il generale George Hays è il comandante della divisione. Il capitano Bill Bowerman, che sarà promosso maggiore nel corso delle operazioni successive, ha un ruolo fondamentale. E’ il responsabile della logistica. Da quelle parti molti ricordano ancora le storie raccontate da genitori e nonni, di quando gli americani, prossimi all’assalto decisivo, hanno l’assoluta necessità di reperire muli, per trasportare il materiale necessario all’impresa su quei sentieri impervi. Il comando ha sede a Lizzano in Belvedere, e da lì gli uomini comandati da Bowerman si muovono verso tutti i casolari per cercare animali da tiro. Una “requisizione” necessaria e non forzata: i soldati rilasciano ai proprietari, contadini e allevatori locali, una regolare ricevuta con cui possono recarsi al comando per farsi pagare l’inatteso “acquisto”.
Ci si muove di notte, il 18 febbraio 1945, partendo da La Cà di Vidiciatico. E’ la “climb to glory”, silenziosa, efficiente. Gli americani attaccano in salita, senza fare rumore: le piccozze, che servono a guadagnare metri su un terreno arduo, sono avvolte nella stoffa. La via scelta è giudicata “non scalabile”, anche dai tedeschi. Sono in 700, invece, ad arrampicarsi, per un’impresa che gli stessi alleati giudicano rischiosissima, tanto che nell’assalto hanno previsto la presenza di sei medici, quando solitamente una truppa ne ha soltanto uno al seguito. La nebbia scende ad aiutarli, nascondendo la lunga fila degli scalatori che arriva in prossimità delle linee nemiche cogliendole nel sonno. I tedeschi, colti di sorpresa, perdono le loro posizioni privilegiate, ma organizzano un contrattacco che sfocerà in una cruenta battaglia durata cinque giorni. Nella notte tra il 18 e 19 febbraio, mentre infuria la battaglia, i genieri del 126mo Mountain Engineers costruiscono una teleferica in prima linea, qualcosa di storico, che va da Cà di Julio a Cappel Buso, 540 metri di lunghezza e 200 di dislivello. Servirà a trasportare a monte munizioni e materiali, ma anche a spostare feriti e caduti. Alla fine, molti meno di quanto si era temuto. Le perdite americane sono contenute: 21 soldati morti, 52 feriti. La notte del 23 febbraio i tedeschi si ritirano, e parte l’assalto al Monte Belvedere. Bill Bowerman sarà ancora operativo nella battaglia di Monte Gorgolesco, e in quella per la conquista di Iola di Montese, nella quale cadrà il norvegese naturalizzato statunitense
Torger Tokle, campione di salto con gli sci, più volte primatista nazionale della disciplina. Quindi, la 10th Mountain Division continuerà la sua marcia di liberazione, attraversando per prima il Po e spingendosi fino ad Arco di Trento.

 



IL GURU DELL’OREGON – Tornato negli States, il maggiore Bowerman già sul finire degli anni Quaranta è tecnico delle squadre di atletica della University of Oregon. Per ventisei anni le guiderà ai vertici dello sport statunitense, portando quattro volte l’ateneo al titolo nazionale NCAA, forgiando 44 All Americans e 19 atleti approdati ai Giochi Olimpici. Svezzando campioni come Bill Dellinger, “cuore di quercia”, bronzo nei 5000 metri alle Olimpiadi di Tokio nel ’64, poi suo assistente dal ’72, quando a Bowerman verrà affidata la guida del gruppo di mezzofondisti ai Giochi Olimpici di Monaco. O come Jim Bailey, Otis Davis, Dyrol Burleson, Wade Bell, Kenny Moore. E naturalmente “Pre”, al secolo Steve Prefontaine, la leggenda. Il più grande mezzofondista americano della sua epoca, scomparso a soli 24 anni a causa di un incidente stradale, quando all’apice del suo percorso atletico ed umano deteneva tutti i primati statunitensi del mezzofondo, dai 2000 ai 10000 metri.





DA “PRE” ALLE “WAFFLE” – Stabilitosi ad Eugene, la culla dell’atletica a stelle e strisce, Bowerman dal 1972 si dedica totalmente alla sperimentazione delle scarpe da corsa della piccola azienda che ha creato insieme a Phil Knight, suo allievo. Inventa scarpe sperimentali e le chiama “waffle”, perché lavora alle suole con una gomma speciale che plasma sulla macchinetta per i dolci “presa in prestito” dalla dispensa della moglie. Quelle scarpe vengono portate in giro con una macchina, a margine delle riunioni su pista in Oregon, e proposte agli atleti. La piccola azienda si chiama dapprima Blue Ribbon Sports, ma presto i suoi fondatori cercheranno un nome più propizio ed evocativo, scegliendo quello della dea greca della vittoria, Nike. Non occorre ricordare ciò che quell’azienda rappresenta oggi. Ha vestito fior di campioni, di tutti gli sport. Ma uno soltanto ha l’onore di avere una statua che lo ricorda davanti all’entrata del quartier generale di Beaverton, in Oregon. Steve Prefontaine, naturalmente. Il primo a indossare quel prodotto, e il primo a diffonderlo al di fuori dell’Oregon.

 


PER NON DIMENTICARE – Amici storici dell’atletica petroniana hanno studiato a fondo questa storia. Sono ex mezzofondisti come Giancarlo Brunetti, già presidente della Fidal bolognese, Guido Genicco, che in Nike lavora da decenni, ed Ettore Casanova, hanno tenuto i contatti con gli eredi del grande coach e tempo fa hanno addirittura proposto di innalzare un cippo alla memoria di un grande uomo a cui dobbiamo molto, non solo nella nostra vita da sportivi. Sarebbe un’idea. Perché Bill Bowerman, il creatore di Nike, è stato tra i pianificatori dell’assalto alla Riva Ridge, ha lasciato il segno del suo passaggio a Monte Pastore, Cereglio, Cà Bortolani, Tolè, Lizzano in Belvedere. Fa parte di una storia importante, e gli dobbiamo un bel po’ della nostra libertà.


(Nelle Valli Bolognesi - 2022)