lunedì 16 gennaio 2023

LA LEGGENDA DI KOCISS

 


Se ne va una bandiera della Virtus, protagonista della rinascita di inizio anni Settanta.

Talento cristallino e anima hippie, ispirò una generazione di appassionati della pallacanestro. Insieme a Gary Schull alimentò il mito della Città dei Canestri

di Marco Tarozzi
BOLOGNA

John Fultz è stato molto più di un immenso talento della pallacanestro. A Bologna ha incantato una generazione di ragazzi degli anni Settanta. Perché lui era altro: l’indiano, l’atleta magnifico e affascinante, l’America della generazione hippy che iniziavamo a leggere sui libri, sognando libertà e strade che finivano chissà dove. Era un mondo nuovo, un tiro fatato a canestro da ripetere mille volte, sapendo che quella perfezione non ci sarebbe mai stata data. Era la nostra uscita dal mondo in bianco e nero, la nostra prima vita a colori.

UOMO DELLA RINASCITA. Per la Virtus è stato tanto altro. La rinascita, prima di tutto. Quando arrivò dagli States, il grande Gigi Porelli stava raddrizzando una barca che sul finire degli anni Sessanta aveva perso smalto e lucentezza. Sull’altra sponda, in casa Fortitudo, c’era già da qualche stagione il Barone Gary Schull. John diventò l’altra faccia della Città dei Canestri, insieme ne costruirono le nuove fondamenta. L’epopea  di BasketCity, a pensarci, è iniziata con loro. Da una parte il Barone, dall’altra Kociss. Prima l’idea di derby era abbozzata, anche se i precedenti non mancavano, ma riguardavano Virtus e Gira, persino Moto Morini e Oare. La Fortitudo era giovane e arrembante, la Virtus aveva addosso il profumo della storia e della gloria.

JOHN E GARY. E in mezzo al campo, loro. Il Barone, al secolo Gary Walter Schull, aveva già avuto il tempo di scontrarsi con un fenomeno come Terry Driscoll, al primo fugace passaggio in terra bianconera. Ma quando arrivò l’altro, quando arrivò Kociss, ovvero John Leslie Fultz, fu subito un’altra storia. Anche per quel bellissimo palazzo di piazza Azzarita, che dopo anni in cui faceva il pieno solo se si parlava di boxe iniziò a riempirsi anche per la pallacanestro.





LA LEGGENDA DI KOCISS - Quando scelse l’Italia, John usciva da anni felici alla Rhode Island University, dalle tre grandi sfide, veri e propri derby d’oltreoceano, con UMass di Julius Erving, da una preseason giocata con la canotta dei Lakers insieme a Jim Mc Millian e Jim Cleamons, dalle sfide con Calvin Murphy sfociate in una profonda amicizia. Era un’America da leggenda, ma John ne uscì per venire in Italia. Da Rhode Island era uscito come quinto realizzatore all-time della franchigia, con una fama di buon rimbalzista e una media di oltre venti punti a partita. Alla fine di quella rassegna estiva fu convocato da Fred Shaus, general manager dei Lakers, che gli offrì un contratto minimo, non garantito. I Lakers erano i Lakers, ma lui non la prese benissimo. Qualche giorno dopo, giocando al North South All Star Game di New York, vetrina per i migliori prospetti usciti dall’università, accanto a Mel Davis, Calvin Murphy, Claude English, in una partita segnò 34 punti e fu eletto “mvp” dell’incontro. Fu notato da un certo Aza Nikolic, che lo portò a Varese come straniero di Coppa. Era il 1970. Un anno dopo prese la strada di Bologna, scelto dall’avvocato Porelli per la sua Virtus. Fu così che il Barone e Kociss, nell’anno di grazia 1971, si trovarono faccia a faccia nel piccolo Madison di piazza Azzarita. Diventarono idoli assoluti, branditi dalle due tifoserie come totem, per alimentare una rivalità che da allora è diventata storia. I primi a trasformare una partita di basket in un evento.

LE GRANDI SFIDE - Fiorì in quei tempi un’aneddotica che si è tramandata negli anni. Il Barone, un pezzo di pane in realtà, che affiggeva ai muri della stanza le foto dei rivali, per caricarsi prima delle partite. Il sangue sulla canotta, diventato icona di fortitudinità. Kociss, sull’altra sponda, ci metteva tecnica e valanghe di punti segnati in tempi in cui il tiro da tre non era nemmeno un’idea, e rimbalzi accatastati, “doppie doppie” da far sognare il popolo bianconero.
Kociss movimentava anche la vita fuori dal parquet con la sua condotta da hippye, innamorato di pace e amore, con gli appartamenti pieni di amici e presunti tali a notte fonda, al punto che quando Porelli decideva di tenerlo un po’ sotto controllo, lo portava al Flamengo insieme a lui. Era anche tornato negli States a fare un nuovo provino per i Lakers dopo il primo anno bolognese: si fece fregare dalla sua voglia, quasi necessità, di vivere la vita intensamente, e l’occasione sfumò. Lui, semplicemente, tornò a Bologna. Il posto dove tutti si voltavano quando lo vedevano passar per strada, il posto dove era diventato un idolo per gli innamorati della V nera.

GRANDI NUMERI. Alla Virtus ha regalato, in tre stagioni, dal 1971 al 1974, 83 partite di campionato e 2232 punti, 1898 in campionato e 334 in Coppa Italia. Fate i conti: è una media di 27.2 punti a partita. Quella Coppa Italia del 1974 fu , primo passo verso il ritorno ai vertici di una società che non poteva avere altra collocazione, nel basket italiano, e la Virtus lo vinse soprattutto grazie a lui, che fu eletto anche Mvp della finale. Ancora: nella prima stagione bianconera fu il miglior realizzatore del campionato. E’ stato un giocatore moderno, completo. Tecnica sopraffina, movimenti da manuale, tiro vellutato eppure letale per qualunque difesa.



L’ADDIO. Soprattutto, è stato un giocatore mai altezzoso ed un uomo generosissimo. Gli fece male andarsene dalla Virtus, ma capì la scelta di Dan Peterson e i due rimasero in ottimi rapporti. Lo ricordava proprio John: “Dan fu corretto con me. Mi disse grazie per quello che stavo dando, e mi confermò che c’era la possibilità di portare a Bologna un fuoriclasse come Tom McMillen. “Se l’affare non va in porto resti tu”, mi disse. Ma Tom arrivò e toccò a me fare le valigie”. Fultz iniziò il suo pellegrinaggio sui parquet: in Svizzera, Austria, Portogallo; da tecnico, a inizio carriera allenò anche le giovanili della V nera, poi finì a Napoli, altra città che gli è rimasta nel cuore per tutta la vita.

LA SUA AMERICA. Ma Bologna era Bologna, nel suo cuore. Ci era tornato un paio di anni fa, perché, diceva, “In fondo la mia America l’ho soltanto sfiorata dall’altra parte dell’oceano, poi l’ho trovata qui. Ora, dopo tanto girare, sono di nuovo a casa mia”. Forse era destino che finisse qui, ma è comunque troppo presto. Ora sono di nuovo insieme, Kociss e il Barone, gli americani che cambiarono volto al basket bolognese e fecero nascere il mito di Basket City. Erano amici, ma si divertivano a interpretare ruoli: Gary il cowboy, anche sulla copertina del 45 giri che lo segnalò come meteora della canzone; John l’indiano, a cui Lucio Dalla in persona consigliò di fare altrettanto, con quella faccia da artista, ma lui decise che con quella voce sarebbe stato meglio continuare a darci dentro sul parquet. E’ stato la nostra ispirazione, questo meraviglioso hippie che oggi salutiamo come faceva sempre lui: “Peace”, John. Ti vorremo sempre bene.

Più Stadio, 14 gennaio 2022




 


venerdì 6 gennaio 2023

CARTE SBAGLIATE


 

So che quella è una bestia che non ti toglie i denti di dosso. So cosa significa avere compagni di stanza che sognano ancora un futuro e un mese dopo non ci sono più. So che a volte hai più fortuna di altri, perché l'ho avuta. So che qualcuno ti rimane nel cuore perché ha distribuito talento. So che gli anni di Genova sono i più belli da ricordare, perché quella era la squadra perfetta che arrivava dai caruggi, non dai piani nobili del calcio.

Soprattutto, so che a nemmeno sessant'anni sei ancora curioso della vita. Ti tocca la carta sbagliata, e non c'è un senso. Mai.