giovedì 20 febbraio 2020

IN CERTOSA IL BOLOGNA E' STORIA VIVA



di Marco Tarozzi

“Il filo della memoria, quando si spezza, va sempre riannodato”. L’idea che ha mosso la curiosità e la ricerca di due amici è diventato una parola d’ordine che ispira il loro progetto, intriso di amore per i colori del Bologna, per la sua storia e i suoi personaggi, i suoi trionfi e i suoi campioni.
Loro sono Stefano “Dallo” Dalloli, agente di commercio, da quasi vent’anni membro del direttivo del Centro Bologna Clubs, di cui è attualmente vicepresidente, e Cristian Ventura, ingegnere edile, che al Dall’Ara ha cominciato a mettere piede nel 1982, ad appena sette anni. Insieme  hanno ideato, progettato e trasformato in realtà il “Percorso della Memoria Rossoblù”, che ha iniziato sei anni fa a raccontare la storia del club attraverso un affascinante viaggio in un luogo apparentemente insolito, il cimitero monumentale della città, per i bolognesi semplicemente la Certosa. Che ognuno abitualmente attraversa  di fretta, soffermandosi il tempo necessario per aprire lo scrigno delle proprie memorie, per portare un saluto ai propri defunti. Che invece Dalloli e Ventura hanno proposto in una veste diversa, come custode di una storia che appartiene alla città ed è tutt’uno con essa, e che da sempre entusiasma i tifosi che hanno nel cuore l’epopea rossoblù.

UN VIAGGIO TRA I RICORDI – In Certosa trovano riposo eterno tanti grandi personaggi che hanno scritto la storia del Bologna. Dal presidentissimo Renato Dall’Ara ad Angelo Schiavio, da Giacomo Bulgarelli al primo capitano Arrigo Gradi, l’uomo che propose i colori della passione. E ancora Biavati, Sansone, Muzzioli, Genovesi, i fratelli Della Valle e i fratelli Badini, Baldi, Guido e Cesare Alberti, solo per citarne alcuni.  Nell’estate del 2013, Dalloli e Ventura, con la preziosa collaborazione del Museo Civico del Risorgimento, ed in particolare di Roberto Martorelli che ha svolto le ricerche negli archivi del CimItero monumentale, hanno approfondito la loro idea. Il risultato è finito sotto gli occhi dei primi spettatori che hanno avuto la possibilità di fruirne nell’estate del 2013, quando (per la prima volta in Italia) all’interno della Certosa è stata allestita una rappresentazione itinerante, dall’anima teatrale, una sorta di “viaggio” commemorativo tra i sepolcri dei tanti illustri rossoblù che vi riposano.



CHE SPETTACOLO - “La storia di una squadra di calcio si intreccia profondamente con la storia di una città: il Bologna F.C. 1909 e Bologna in un'unica narrazione”, spiegano i due ideatori quando devono raccontare il loro progetto. Approfondendo quella che Pier Paolo Pasolini, grande tifoso rossoblù, definiva “l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo”, la partita di calcio che affida ai tifosi il ruolo di testimoni, di oracoli che tramandano gesta e passione nel tempo.
Quel giorno, il 7 giugno 2013, nell’anniversario dello spareggio dell’Olimpico che consegnò al Bologna il suo settimo e ultimo scudetto nel ’64, oltre cento persone (numero chiuso vista l’eccezionalità dello scenario) assistettero ad una vera e propria rappresentazione, con l’attore Orfeo Orlando calato nel ruolo di Virgilio, alcuni tra i più noti giornalisti sportivi bolognesi a raccontare i grandi del Bologna proprio nei luoghi in cui sono sepolti, un mix di immagini, vecchie foto e filmati d’epoca, file audio evocativi, come la telecronaca della partita dello spareggio. Un pubblico commosso, che si è mosso all’interno della Certosa facendo tappa davanti
alle tombe di Dall’Ara, Genovesi, Muzzioli, Schiavio, ascoltando le letture degli oratori tra giochi di luce e musiche d’ambiente. Vera e propria opera teatrale replicata nel settembre dello stesso anno, e poi più volte negli anni a seguire.



UNA STORIA DA WEB – Da qualche giorno, il “Percorso della Memoria rossoblù” è sbarcato anche sul web. Dalloli e Ventura hanno fatto le cose con passione e criterio. Il sito www.percorsodellamemoriarossoblu.it è un baule pieno di ricordi, aneddoti, storie su cui non dovrebbe mai posarsi la polvere del tempo, che grazie a iniziative come questa può essere rimossa per sempre. Ci sono le storie degli uomini che hanno fatto grande il Bologna, con i contributi scritti di Carlo Felice Chiesa e le immagini raccolte da Lamberto Bertozzi, e con gli audio a cura di Federico Galloni, che questi racconti li propone in dialetto bolognese. Insomma ,ci sono tutte le indicazioni per affrontare un viaggio dentro uno dei grandi monumenti della città, che ne racchiude la storia. Da soli, prendendosi quel tempo che a volte non si riesce a trovare, o attraverso visite guidate diurne, che saranno organizzate con la collaborazione dell’associazione “Amici della Certosa”. Saranno apposte targhette munite di QR Code nelle adiacenze delle sepolture per permettere di collegarsi con tablet o smartphone e “allargare i confini della conoscenza”. Tornerà, naturalmente, quello spettacolo serale così originale, nato per rendere omaggio ai campioni del passato, ma necessario per costruire un legame con il futuro, fatto di passione e senso di appartenenza. E tornerà più ricco, più affascinante e più vario. Per non smettere di riannodare il filo della memoria.



mercoledì 12 febbraio 2020

CAPITANO PER SEMPRE



Capitano, forse questo è l'unico posto dove potrei ancora trovarti. Undici anni dopo.
Onorevole Giacomo, salute!





domenica 9 febbraio 2020

SETTANTA, OGGI



Era antipatico, sbruffone, arrogante. Nemmeno tutta colpa sua: papà Arnold lo aveva portato in piscina a otto anni, spiegandogli che “nuotare non è tutto, vincere sì”. Non poteva che crescere così, uno che per paradosso era nato a Modesto.
Il suo vocabolario non contemplava la parola “sconfitta”, e infatti quando questa era arrivata alle Olimpiadi in Messico, nel ’68, anche i compagni di squadra (soprattutto i compagni di squadra) fecero quasi festa. Lui, invece, si richiuse in piscina per quattro anni, incazzato prima di tutto con sé stesso. E quando si ripresentò all’appuntamento olimpico, a Monaco nel ’72, non lasciò sul tavolo neppure le briciole.
Era dissacrante, anticonformista, controcorrente. Scendeva in acqua con quel fisico così lontano da quelli scolpiti e palestrati di oggi. Sembrava normale, eppure era il più veloce di tutti. Teneva i capelli lunghi, e ci aggiungeva anche i baffi. Disse ai nuotatori sovietici, scherzandoci su ma con un’aria austera, che li portava per far scorrere l’acqua intorno al viso: pochi mesi, e quasi tutti i sovietici si erano fatti crescere i baffi.
Era un’icona pop. Lontano dell’era digitale, spopolavano i poster. Io, che nuotavo al Villaggio del Fanciullo, e qualche minimo sprazzo di gloria me lo prendevo alle gare di istituto, avevo appeso il suo in camera. Costumino sdoganato in Mondovisione, di lì a poco in vetrina su tutte le spiagge della Riviera; sette medaglie d’oro appese al collo; baffi, naturalmente.
Vinse sette ori in una sola edizione dei Giochi, e fu l’ultimo sorriso, prima che l’assalto di Settembre Nero al villaggio olimpico e agli atleti israeliani, poche ore dopo l’ultima finale, cambiasse per sempre la storia delle Olimpiadi. Aveva ventidue anni, e la chiuse lì, “perché tanto, cos’altro potrei conquistare?”
Mark Spitz oggi ha settant’anni. Non ha più addosso l’arroganza della gioventù, e a chi gli chiede che regalo vorrebbe farsi risponde “vorrei vivere tanti altri compleanni”. Io ne ho appena dieci di meno, cazzo. Ho staccato quel poster e cambiato molte case, da allora. In mezzo, è passata la vita, quella fuori dalle piscine. Eppure quelle immagini, quell’attesa della prossima gara, quella sensazione di essere testimone di un cammino leggendario che cresceva giorno dopo giorno, sono un ricordo vivo e acceso. Non mi sembra vero che sia volata così in fretta, la vita.
Arrogante o no, mi ha fatto sognare. Vado a cercare il poster, giù in cantina.