lunedì 16 luglio 2012

BENSI, IL RAGAZZO CHE ODIAVA IL NUOTO



di Marco Tarozzi

Non gli piaceva, il nuoto. Proprio non lo digeriva. In vita sua, Nicolò Bensi di sport ne aveva masticato parecchio. Undici anni di basket giocato a buoni livelli, tanto motocross con gli amici, una passione per il calcio. Ma il nuoto, lasciamo stare. Meglio non parlarne.

«Stavo a galla, ecco tutto. Ma non mi prendeva. Per me nuotare significava andare a mollo quando il caldo si faceva insopportabile, d’estate».

Questa, però, era l’altra vita. Prima dell’incidente. Quel sabato di settembre del 2004 Nicolò era un ragazzo felice. Aveva 19 anni e due giorni prima aveva superato il test di ammissione alla scuola di fisioterapista. Mentre sognava il futuro, si trovò a fare i conti col presente. Una caduta, proprio su una pista di motocross, gli cambiò di colpo la vita. All’ospedale gli fecero capire che avrebbe dovuto passare tutta la vita su una carrozzina.

«Buio, naturalmente. I primi giorni avevo un senso di spaesamento, più che di rabbia. Il primo passo in avanti lo feci quando mi dissero che per diventare fisioterapista non tutto era perduto. Ne parlai col professor Gasbarrini, lo specialista che mi aveva operato dopo l'incidente. Mi disse: si può fare. E non lo faceva per tenermi su di morale. Ci credeva davvero, cominciò subito a organizzare le cose perché questa strada restasse aperta. Mi riaccese l'entusiasmo».

Nove mesi a Montecatone, per la riabilitazione e per imparare a usare la carrozzina, poi altri cinque persi per un’operazione all’anca. E finalmente la rinascita. La scuola, che lo aveva aspettato, gli riaprì le porte. “Un'emozione, all'inizio. Ma tutti mi hanno aiutato a sentirmi a mio agio. I professori, I compagni. Rotto il ghiaccio, è stato facile”.

Nell’estate del 2009 la storia di Nicolò è diventata di dominio pubblico. In tanti si sono interessati a questo ragazzo, quando è diventato il primo disabile laureato in Fisioterapia in Italia. «Oggi lavoro al centro regionale di Corte Roncati. Mi accorgo di entrare in fretta in empatia coi pazienti. Forse li aiuta sapere che il loro dolore lo conosco, che ci sono passato anch’io. C'è quasi sempre un senso di rabbia, di impotenza quando la vita cambia all'improvviso. Impari che non potrai muoverti con le tue gambe e ti crolla il mondo intorno. A un mio collega che cercava di spronarlo, un ragazzo ha detto: non sai cosa si prova. Poi  mi ha guardato, forse è stato lì lì per dirlo anche a me. Ma non lo ha fatto. Perché si è reso conto che io so benissimo cosa si prova».

Il nuoto è tornato in scena proprio nei giorni della riabilitazione. «Ho visto che in acqua tutto andava meglio, senza la gravità sono come gli altri. Recuperavo fisicamente, la schiena non mi faceva più male. L'ho affrontato sotto un'ottica diversa. E poi, all’improvviso, è scoccata la scintilla».

Passione pura. Cresciuta dentro una società, l’Atletico H, che a Bologna si prodiga per dare opportunità ai suoi atleti. Alimentata da un tecnico preparato come Daniele Naldi. «Un appassionato vero, che sa trasmetterti quello che prova per questa disciplina. Non puoi non sentire quelle vibrazioni. Ora ci sono dentro, coinvolto completamente, e ho raggiunto traguardi che un paio di anni fa nemmeno avrei immaginato».

La finale mondiale dei 50 rana a Eindhoven 2010 , per esempio. Lì, per la prima volta, Nicolò, che a livello nazionale ha già messo in bacheca parecchi titoli, si è trovato faccia a faccia con i migliori della specialità. «Sono arrivato ottavo, e magari pensavo a qualcosa di meglio. Ma è stata una grande esperienza, che mi servirà. In quella piscina ogni volta che mi guardavo intorno mi veniva la pelle d’oca. Intorno c’erano tremila persone, c’era la tv a riprenderci. Una cosa nuova e enorme, per me».

Eppure, questa rassegna iridata è stata solo una tappa. Ormai Nicolò ha alzato il tiro, e l’obiettivo è più lontano nel tempo. «Dovrei nascondermi, fare finta di non pensare alla Paralimpiade di Londra? Sarei bugiardo. Certo che punto a quel traguardo, e non voglio arrivare là solo per partecipare. Ho imparato ad allenarmi duramente: otto allenamenti a settimana d'inverno, fino a tredici d'estate. Non mi pesa, perché ho un obiettivo davanti. E i miglioramenti sono continui. Per uno che odiava il nuoto, non mi sembra poco...»



Da “Liberi di Sognare”
Marco Tarozzi, Paolo Genovesi
Minerva Edizioni

* foto di Paolo Genovesi