Se
ne è andato, all’età di ottantatrè anni, Leopoldo
Tartarini. Un genio, un pioniere, uno che guardava sempre
avanti. Poldino, per tutti quelli che come lui hanno addosso una passione unica
per le moto, è stato uno dei migliori piloti italiani negli anni Cinquanta,
quando le gare di lunga durata su strada come il Motogiro d’Italia esercitavano
un fascino inimmaginabile sugli appassionati, quindi si era inventato
un’avventura da “guinness dei primati”, viaggiando per un anno intorno al mondo
insieme all’amico Giorgio
Monetti, con un paio di Ducati 175, infine aveva dirottato la
sua creatività nell’Italjet, l’azienda motociclistica fondata nel 1960 a Castel
San Pietro, da cui sono usciti circa centocinquanta modelli, gran parte dei
quali ispirati dal suo estro.
Poldino,
nato nel 1932, aveva respirato motociclismo fin da ragazzo, osservando e poi
contribuendo al lavoro di papà Egisto, meccanico, rivenditore e discreto
pilota. Lui aveva iniziato con le serie minori, ma aveva il manico e ben presto
era finito a libro paga delle principali scuderie italiane. Le gare di durata
erano il suo pane: dopo il successo alla Milano-Taranto del 1952, con un telaio
di sua progettazione, arrivarono quelli del 1953 e 1954 al Motogiro, in sella
alla Benelli ufficiale. Diventato prima guida della Ducati nel 1955, al
Motogiro dello stesso anno fu costretto a interrompere una carriera brillante a
causa di un brutto incidente, mentre guidava la classifica di categoria in
sella alla sua Marianna 100. Degenza lunga, e soprattutto la certezza di non
poter più dare alla casa di Borgo Panigale l’apporto che avrebbe voluto.
Leopoldo
Tartarini non era certo il tipo da vivacchiare sfruttando i vantaggi di un
ottimo contratto (circa un milione e mezzo all’anno, dell’epoca). Non poteva
stare con le mani in mano, e si inventò un’idea di marketing rivoluzionaria.
Coinvolse l’amico Giorgio Monetti in quello che inizialmente avrebbe dovuto
essere un viaggio da Bologna alla Turchia, per reclamizzare il marchio Ducati
ad Oriente, e si trasformò invece in un’odissea lunga un anno intero, dal 25
settembre 1957 al 5 settembre 1958, attraverso cinque continenti e trentacinque
nazioni. 60mila chilometri previsti, che poi diventarono sul percorso quasi
100mila, sulle strade di quasi sessant’anni fa, con due motori 175 che si
rivelarono resistentissimi. Attraversando climi agli antipodi, guerre civili e
un paio di rivoluzioni. Europa, Asia, Australia, Nuova Zelanda, il Sud America
con la leggendaria Cordillera delle Ande, l’Africa da Dakar a Gibilterra. E una
volta tornati in Italia, un ultimo sforzo viaggiando per la penisola, a
ricevere l’applauso e l’ammirazione dei concessionari Ducati e della gente.
Tre
anni dopo Tartarini, che gestiva col padre una concessionaria Ducati, decise di
mettersi in proprio fondando l’Italemmezeta, che a partire dal 1967 sarebbe
diventata l’Italjet, dal nome del suo primo ciclomotore di grande successo.
Anticipando modelli e tempi, “Poldino” regalò alla sua azienda un lungo periodo
di successi, spaziando dai ciclomotori alle maximoto. In tempi di
globalizzazione, la creatura ha vissuto anni più recenti di sofferenza e il
figlio di Leopoldo, Massimo, si è preso l’impegno di tenerla viva (“ultima
piccola tra le grandi, ultima grande tra le piccole”, la definiva Poldino),
mentre lui, l’imprenditore dalle idee geniali e dallo spirito d’avventura, si
dedicava al suo studio di progettazione di prototipi, Tartajet. Ogni tanto,
insieme all’amico Monetti, rinverdiva i fasti della grande impresa, soprattutto
dopo che nel 2006 il giornalista e scrittore Giuliano Musi l’aveva riesumata e
raccontata in un bel libro, “Il
giro del mondo di Tartarini e Monetti su Ducati 175”, edito da
Minerva Edizioni.
Se
ne è andato un pezzo di storia del motociclismo italiano. Ma prima di andarsene
ha lasciato un segno indelebile sul mondo che ha amato e vissuto.
RenoNews, 11 settembre
2015