domenica 7 giugno 2020

IL DOTTORE CHE FACEVA PAURA ALLE GRANDI




Fulvio Bernardini, prima grande giocatore e poi allenatore coraggioso e intelligente. Con lui il Bologna tornò a conquistare lo scudetto


di Marco Tarozzi


Per uno strano gioco del destino, le strade di due dei più grandi allenatori della storia del Bologna (il terzo, naturalmente, è Hermann Felsner) si incrociano molto prima che entrambi entrino nella storia rossoblù. Nel 1926, Arpad Weisz è il giovanissimo allenatore dell’Inter, Fulvio Bernardini uno dei suoi migliori giocatori. Arrivato dalla Lazio, dove aveva esordito come portiere, il romano, classe 1905, è un centromediano di grande talento, con una visione di gioco impareggiabile. Weisz, per valorizzarne la vena realizzativa, lo fa giocare centrattacco, ma intanto grazie alle insistenze del giocatore va a visionare un ragazzetto che gravita nelle giovanili nerazzurre, Giuseppe Meazza, rendendosi conto che Bernardini ha davvero la vista lunga, ed arretrandolo a mezzala sinistra per far posto proprio al ragazzino che diventerà una leggenda nerazzurra.


CAPITANO GIALLOROSSO – Una storia che la dice lunga sulla capacità di Bernardini di scoprire e valorizzare i giovani, così come i giocatori “dai piedi buoni”, frase coniata da lui in una delle sue tante vite, quella di giornalista di vaglia. Una dote che gli tornerà buona anche quando siederà in panchina.
Intanto, il nostro gioca due stagioni importanti a Milano, si guadagna anche una maglia da titolare alle Olimpiadi di Amsterdam, da cui tornerà con una medaglia di bronzo, e già dal ’25 sotto la guida di Rangone, è stato il primo giocatore del girone centro-sud a conquistarsi un posto in Nazionale.
Dopo l’Inter, il ritorno a Roma, sulla sponda giallorossa, appena costituita dall’unione delle forze di tre società (Alba Roma, Roman e Fortitudo). Ci resterà per undici stagioni, diventandone trascinatore e simbolo, leggenda del campo Testaccio dai cui spalti diventa familiare il coro “Er gran Fulvio Bernardini che dà scola all’argentini”, chiaro e ironico riferimento agli oriundi della Juventus dei cinque scudetti. E addirittura capitano dal ’34, raccogliendo il testimone da “Tillio” Ferraris.




LE CORNA AL DUCE – Tecnicamente perfetto, ma anche sanguigno in campo e fuori. Memorabile l’incidente diplomatico causato da “Fuffo”, come ormai lo ha ribattezzato la tifoseria giallorossa, che superando una berlina blu che procede lenta nel traffico fa il gesto delle corna, trovandosi il giorno dopo la polizia in casa perché quella macchina stava portando il Duce all’incontro con l’ambasciatore francese. Patente ritirata e questione risolta da Monzeglio, compagno di squadra due volte campione del mondo e maestro di tennis dei figli di Mussolini, con una partita “guidata” a Villa Torlonia. Bernardini, tennista provetto e anche classificato, guarda caso perde la sfida con il Duce e può tornare a guidare.

NAZIONALE PERDUTA – Il carattere tosto lo mostra anche a Vittorio Pozzo, che gradualmente lo mette ai margini della Nazionale. Pare che alla volontà del Ct di utilizzarlo sulla sinistra della mediana, il campione abbia risposto con toni accesi. Di fatto, Pozzo la spiega così: Troppo bravo, metterebbe a disagio gli altri e si romperebbe la coesione del gruppo”. Il gruppo è quello juventino di cui sopra, quindi per Bernardini porte chiuse e niente convocazione per la Coppa Rimet del ’34.
La Roma lo svincola nel 1939, e con la guerra alle porte lui cambia mestiere. A Milano, tra 68 presenze e 25 reti in due stagioni, aveva trovato il tempo di laurearsi alla Bocconi in Scienze economiche. Sceglie di fare il giornalista, e lo fa bene debuttando sul settimanale satirico “Il Travaso” e continuando sulle colonne dei quotidiani “La Tribuna” e “Corriere dello Sport”.
Poi raccoglie l’invito della sezione calcio del Dopolavoro della MATER (
Motori Alimentatori Trasformatori Elettrici Roma), “perché voglio chiudere da dilettante il ciclo che iniziai solo per diletto”. In effetti, lì inizia la sua carriera di allenatore, e quel ciclo non si chiuderà mai più.

SCHIAFFO ALLE GRANDI – Dalla Mater alla Roma, alla Reggina, al Vicenza e finalmente alla Fiorentina, dove compie un capolavoro. Una ricostruzione che in tre stagioni porta la squadra allo scudetto, consolidando la struttura italiana (Costagliola, Magnini, Cervato, Chiappella, Segato, Gratton) e pescando due sudamericani perfetti per un attacco da sogno, Julinho e Montuori. Il “Dottore” non si considera un tattico, ma inventa Maurilio Prini finta ala sinistra, col piacere di stupire che ritroveremo nello spareggio del 1964. Di fatto, lo scudetto della Fiorentina è il primo schiaffo di Bernardini allo strapotere di Juve, Inter e Milan. Il secondo lo assesterà proprio con il Bologna.


I DIVERBI COL PRES – Alla corte di Dall’Ara arriva dopo l’esperienza alla Lazio, con cui conquista la Coppa Italia del ’58. A parte quella fiammata, la squadra biancoceleste è modesta, una “Lazietta” commenta Gianni Brera, che ribattezza Bernardini, suo ex collega, “Dottor Pedata”.
Il presidente non è proprio innamorato del tecnico, gli avrebbe preferito Viani o Rocco, ma ha l’intuizione di affidarsi a lui per rinverdire i fasti degli anni Trenta.
Le scaramucce tra i due diventano proverbiali. “Quell’uomo lì, quasi quasi lo odio! Mai che venga a far visita, mai che mi racconti chi farà giocare domenica, mai che mi metta in squadra Vinicio e Nielsen. E poi il suo calcio poetico del cavolo…io voglio il catenaccio metropolitano, altroché i suoi fioretti di San Francesco!”, sbotta Dall’Ara. E il “Dottore” replica.  “Se vuole un tattico, si prenda Rocco… Se vuole un servo che vada a giocare a briscola nel suo ufficio, si prenda una delle sue segretarie! E poi Vinicio e Nielsen insieme non li faccio giocare, perché non mi va.. punto e basta!”.

Amen. E’ un falso amore odio, che nasconde stima reciproca. Nasce il Bologna che “così si gioca solo in Paradiso”,e  quando nella stagione 1963-64 arriva Negri ad abbassare la saracinesca dietro a una difesa tosta composta da Janich, Furlanis, Tumburus e Pavinato, ecco servita la ricetta per lo scudetto.

SOGNO REALIZZATO - L’arretramento di Bulgarelli a copertura di Haller e Fogli rinforza una mediana “dai piedi buoni”, come piace a Fuffo. Perani e Pascutti alimentano la fame di gol di Nielsen, che sarà capocannoniere del torneo. Non basta neppure la congiura del doping a mettere fuori causa il Bologna. E il giorno dello spareggio, Bernardini si conferma tattico finissimo, con l’invenzione di Capra falsa ala sinistra, a contenere Corso. Dall’Ara non potrà vedere il suo sogno realizzato, e Bernardini piangerà lacrime venute dal profondo del cuore per lui. E con una vena di malinconia consegnerà alla storia del calcio italiano il suo secondo sberleffo rivolto alle grandi potenze del campionato. Il più bello, per chi vive da queste parti.

Più Stadio, 6 giugno 2020




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