Era
antipatico, sbruffone, arrogante. Nemmeno tutta colpa sua: papà Arnold lo aveva
portato in piscina a otto anni, spiegandogli che “nuotare non è tutto, vincere sì”. Non poteva che crescere così,
uno che per paradosso era nato a Modesto.
Il
suo vocabolario non contemplava la parola “sconfitta”,
e infatti quando questa era arrivata alle Olimpiadi in Messico, nel ’68, anche
i compagni di squadra (soprattutto i compagni di squadra) fecero quasi festa.
Lui, invece, si richiuse in piscina per quattro anni, incazzato prima di tutto
con sé stesso. E quando si ripresentò all’appuntamento olimpico, a Monaco nel
’72, non lasciò sul tavolo neppure le briciole.
Era
dissacrante, anticonformista, controcorrente. Scendeva in acqua con quel fisico
così lontano da quelli scolpiti e palestrati di oggi. Sembrava normale, eppure
era il più veloce di tutti. Teneva i capelli lunghi, e ci aggiungeva anche i
baffi. Disse ai nuotatori sovietici, scherzandoci su ma con un’aria austera,
che li portava per far scorrere l’acqua intorno al viso: pochi mesi, e quasi
tutti i sovietici si erano fatti crescere i baffi.
Era
un’icona pop. Lontano dell’era digitale, spopolavano i poster. Io, che nuotavo
al Villaggio del Fanciullo, e qualche minimo sprazzo di gloria me lo prendevo
alle gare di istituto, avevo appeso il suo in camera. Costumino sdoganato in
Mondovisione, di lì a poco in vetrina su tutte le spiagge della Riviera; sette
medaglie d’oro appese al collo; baffi, naturalmente.
Vinse
sette ori in una sola edizione dei Giochi, e fu l’ultimo sorriso, prima che
l’assalto di Settembre Nero al villaggio olimpico e agli atleti israeliani,
poche ore dopo l’ultima finale, cambiasse per sempre la storia delle Olimpiadi.
Aveva ventidue anni, e la chiuse lì, “perché
tanto, cos’altro potrei conquistare?”
Mark Spitz oggi ha settant’anni. Non ha più addosso l’arroganza
della gioventù, e a chi gli chiede che regalo vorrebbe farsi risponde “vorrei vivere tanti altri
compleanni”. Io ne ho appena dieci di meno, cazzo. Ho staccato quel poster
e cambiato molte case, da allora. In mezzo, è passata la vita, quella fuori
dalle piscine. Eppure quelle immagini, quell’attesa della prossima gara, quella
sensazione di essere testimone di un cammino leggendario che cresceva giorno
dopo giorno, sono un ricordo vivo e acceso. Non mi sembra vero che sia volata
così in fretta, la vita.
Arrogante o no, mi ha fatto sognare. Vado a cercare il poster,
giù in cantina.
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