di Marco Tarozzi
“I pomeriggi che ho passato a
giocare a pallone sui Prati di Caprara (giocavo anche sei-sette ore di seguito,
ininterrottamente: ala destra, allora, e i miei amici, qualche anno dopo, mi
avrebbero chiamato lo “Stukas”: ricordo dolce bieco) sono stati indubbiamente i
più belli della mia vita”.
Erano gli anni del liceo, per Pier Paolo Pasolini, poeta,
scrittore, regista, una delle anime più lucide del Novecento, di cui oggi
ricorre il “quasi centenario” della nascita. Cento saranno nel 2022, sperando
che possa essere una ricorrenza liberata da questa piaga che ci soffoca da un
anno, da questa pandemia per la quale lui avrebbe certamente trovato parole
vive e lungimiranti, più dei tanti che affollano le fiere delle vanità
televisive.
ANNI
DI FORMAZIONE. Il liceo era il Galvani, in via
Castiglione. Una classe piena di ragazzi di talento, destinati a farsi strada
nella vita: c’era Pasolini, c’erano Sergio Telmon e Odoardo Bertani, futuri
giornalisti, c’era Nino Pitani che sarebbe diventato il “cattivo” di decine di
film col nome d’arte di Daniele Vargas, c’era il futuro segretario del Partito
Liberale, Agostino Bignardi. Anni di formazione, anni bolognesi.
A Bologna Pasolini c’era nato, il 5 marzo 1922. Messo al mondo dalla levatrice
nella casa di via Borgonuovo, a due passi da piazza Santo Stefano. Il padre
Carlo Alberto, capitano di fanteria, comandava le truppe il 31 ottobre 1926,
quando un quindicenne, Anteo Zamboni, attentò alla vita di Mussolini che era in
visita a Bologna e venne subito linciato dai fascisti. L’infanzia di Pier
Paolo, per via del lavoro del padre, non contemplò Bologna. La famiglia si
trasferì negli anni a Parma, Conegliano, Belluno, Casarsa (la cittadina
friulana di cui era originaria la madre), Scandiano. Gli anni bolognesi furono
appunto quelli del Galvani. Quelli di formazione.
TREMAVA
IL MONDO. Di sicuro, lui bolognese si sentiva. Anche in quella
passione per il calcio che si portò dietro proprio da quegli anni liceali, in
cui ebbe la fortuna di assistere allo spettacolo del Bologna che faceva tremare
il mondo. Un amore che si portò anche a Roma, per sempre.
“Mi viene quasi un nodo alla gola, se ci penso. Allora,
il Bologna il Bologna era il Bologna più potente della sua storia:quello
di Biavati e Sansone, di Reguzzoni e Andreolo (il re del campo), di
Marchesi, di Fedullo e Pagotto. Non ho mai visto niente di più bello degli
scambi tra Biavati e Sansone. Che domeniche, al Comunale…”
AMORE E CALCIO. Quando
Pasolini giocava a pallone, traspariva tutto il suo entusiasmo, quasi
infantile. Lo hanno ricordato nel tempo anche gli amici più cari, come Ninetto
Davoli o Sergio Citti, impegnati tante volte al suo fianco in quella che allora
si chiamava Nazionale Attori e Cantanti, e si esibiva per beneficenza. Lui era
il capitano, naturalmente. E da quel gruppo passarono Gianni Morandi, Ugo
Tognazzi, Franco Nero, Philippe Leroy, Enrico Montesano, Enzo Cerusico,
Maurizio Merli.
Non gli sembrò vero di poter intervistare i suoi idoli, i giocatori del
Bologna, per il film documentario “Comizi d’amore”. Quelle immagini sono
preziose: fanno trasparire l’entusiasmo dell’intervistatore e l’imbarazzo dei
giocatori di fronte a domande che toccano la sfera del privato in un modo
assolutamente impensabile per i tempi. Con un Giacomino Bulgarelli
giovanissimo, eppure più “scafato” di tutti.
SEGNATO DALLA VITA. Pier
Paolo Pasolini a Roma ha costruito la sua grandezza e ha coltivato la sua
profonda solitudine. Ha scritto opere che hanno segnato il tempo, da “Ragazzi
di vita” a “Una vita violenta”, da “Teorema” all’incompiuto e drammatico
“Petrolio”; ha creato un cinema poeticamente tragico, fatto di accattoni e
vangeli. E su un campetto squallido del litorale, uno di quelli su cui si
tirano calci sghembi al pallone, è morto di una morte violenta e mai davvero
chiarita. Quella notte d’autunno del 1975 non se ne andò semplicemente un
personaggio famoso e controverso, uno scrittore, un regista, ma un uomo libero
e controcorrente, e per questo assediato dai dubbi e da una malinconica
tristezza. Uno che Bologna e quegli anni del liceo non li aveva mai
dimenticati.
(Più Stadio, Corriere dello Sport/Stadio, 5 marzo 2021)