di Marco Tarozzi
BOLOGNA
“Ma non ci vogliono perché siamo neri?”.
Non è facile rispondere a questa domanda, se te la fa un ragazzo a cui hai
aperto la strada dei sogni grazie alla pallacanestro. Non è facile nemmeno per
uno come Massimo Antonelli, che è abituato a spendersi perché lo sport mandi
sempre un messaggio di inclusione. Lo ha fatto in passato con diversi progetti,
e lo sta facendo da qualche tempo a Castelvolturno con i ragazzi della Tam Tam
Basket, squadra composta da italiani di seconda generazione, tutti nati tra
Napoli e dintorni ma figli di immigrati. Italiani veri, che però lo saranno a
tutti gli effetti al compimento della maggiore età. E che pur avendo vinto,
uniti in questo team dei sogni, il campionato regionale Under 15 nel 2019, oggi
che la pandemia lascia un po’ di respiro e speranza di futuro non possono
iscriversi a quello nazionale Under 17, come spetterebbe loro, perché lì la
regola vuole un massimo di due stranieri per squadra. E loro sono stranieri,
anche se parlano in napoletano. Difficile spiegare a un ragazzo che deve
smettere di sognare, nemmeno Massimo Antonelli ci riesce, e allora preferisce
battersi perché qualcosa cambi in un regolamento che non cammina veloce come la
vita fuori.
CITTADINO
DEL MONDO. Antonelli a Bologna se lo ricordano tutti molto bene.
Era uno dei campioni della Virtus di Dan Peterson, che riportò a Bologna lo
scudetto nella stagione 1975-76, dopo un’assenza durata vent’anni. Non un
comprimario, un protagonista assoluto. Alto 193 centimetri, era cresciuto ad
Altopascio, dove il padre faceva l’appuntato dei carabinieri, e poi a Chieti,
prima di approdare da junior nelle giovanili bianconere. Fu Tracuzzi a capire
che utilizzarlo da centro o da ala sarebbe stato uno spreco, per il fosforo che
produceva. Divenne così uno dei playmaker più alti d’Italia, quando ancora
l’idea del regista lungo e prestante non era comune. Era un bel personaggio
anche allora: capelli lunghi, vita da cittadino del mondo, studiava
architettura a Firenze e andava a seguire le lezioni su una vecchia Dyane. E a
Gianfranco Civolani, in un’intervista, diceva “forse farò il petroliere, forse commercerò in noccioline in Brasile,
magari farò il barman per poter vivere, magari farò anche l’architetto, pul
darsi”.
LA
MORTE, SECONDO LUCIO. Peterson lo chiamava “Fucile”, perché era
un tiratore micidiale e risolveva problemi. E lui impiegò mesi a capire che
quel tifoso che nelle partite punto a punto invocava “Morte!” era Lucio Dalla
in persona. Fu proprio Lucio a spiegargli perché: “niente è più gelido e freddo”, proprio come lui quando tirava.
Invece il cuore di Massimo è grande, e batte per i giovani. Da tempo ha
inventato il “Music Basketball Method”, per insegnare i fondamentali con idee
che hanno conquistato non solo l’Italia, ma anche Nord Europa, Sud America,
Canada. Nel 2016 ha fondato Tam Tam Basketball insieme ad Antonella Ceccato,
Pietro D’Orazio, Guglielmo Ucciero e al fratello Prospero. Un progetto sociale,
di riscatto attraverso lo sport. Già i suoi ragazzi avevano potuto affacciarsi
al campionato regionale Under 15 grazie a una deroga della Fip, che si chiama
proprio “Salva TamTam”. Ora, però, c’è un muro molto più alto da superare. Il
gruppo avrebbe voluto misurarsi a livello nazionale, ma la regola dei “due
stranieri per squadra” li tiene al palo. E lo stesso presidente Petrucci ha
parlato di “mancanza di accordo tra i
dirigenti delle altre squadre”, ragion per cui “sono a rappresentarle l’impossibilità di dar seguito alle
richieste pervenute”. E Massimo, che questa realtà la
conosce come le sue tasche, non ha trovato parole per spiegarlo ai suoi
giocatori.
LA GRANDE OCCASIONE. “Abbiamo perso anche il ricorso al Tar, ma
continuo a ritenere un’ingiustizia che i figli di stranieri nati in Italia non
abbiano nello sport gli stessi diritti degli altri. C’è stato un grande
movimento di opinione, la gente mi dice di non mollare e dico la verità, vedo
anche uno squarcio di sereno in questa storia. Un ripensamento sarebbe una
splendida occasione per tutti, ma accettare una nuova deroga salverebbe i miei
ragazzi, non risolverebbe il problema. L’ideale sarebbe adattare uno Ius Soli
sportivo a livello federale, che non risolverebbe solo il problema di Tam Tam,
ma quello di un milione di ragazzi che cercano un riconoscimento del proprio
status attraverso lo sport. Sarebbe una grande opportunità per la stessa
Federazione e per tutto lo sport italiano”.
GIOCHI SENZA BARRIERE. “Mi sembra di portare avanti una guerra
contronatura”, sorride Antonelli. “La
Fip per me è una madre adottiva, mi ha aperto le porte del basket a dodici
anni, ed ero in campo nella partita della Nazionale Juniores con cui si
festeggiò il cinquantenario. Ma è una questione di umanità: qualsiasi barriera
che si frappone tra i giovani e il gioco è un ostacolo alla loro formazione
come persone. E pensate a quale ricchezza sarebbe poter includere in modo
totale un milione di ragazzi che si sentono italiani grazie all’abbraccio dello
sport”.
Per questo “Fucile” va avanti. Deciso come quando arrivava il momento di
cambiare le sorti di una partita, e lui sapeva che tutto passava dalla sua
testa e dalle sue mani.
Più Stadio, 1 novembre 2021