giovedì 16 settembre 2010
Rebecca Bianchi, sedici anni a tutto gas
di Marco Tarozzi
Ha compiuto sedici anni a marzo, e ha passato metà della sua vita in sella alle moto. Di più: l’aria dei circuiti la respira da quando era in fasce, perché papà e mamma li frequentano per mestiere. Rebecca Bianchi non è figlia di pilota, come il suo idolo Valentino Rossi. Ma suo padre Oliver gira i paddock da una vita, titolare di Oliver Fotoagenzia, gioiello di famiglia per il quale lavora anche la moglie Lucia. Ha cominciato lì anche Rebecca. A suo modo.
«A otto anni rubavo il motorino agli amici nel paddock e scorazzavo da un posto all’altro, divertendomi un mondo. Così papà e mamma ne approfittavano per mandarmi a ritirare i rullini e le schede. Ma la passione era molto più totalizzante: da bimba, per salire su una giostra doveva esserci una moto, dei cavalli non mi interessavo affatto».
Da quegli innocui furti di cinquantini al secondo posto al trofeo femminile di Vallelunga, prova unica di campionato italiano organizzata dalla federazione, sembra passata una vita. Invece è soltanto una manciata di anni. Intensi, da raccontare.
«Stefano Prescendi, il pilota a cui... prendevo a prestito il motorino, notò che la cosa mi piaceva e mi consigliò di provare con le minimoto. L’ho fatto fino a due anni fa, fin lì è stato come un gioco. Nel 2009 ho provato il mio primo campionato, la Yamaha Rs 125 Cup, e ho capito che poteva essere una strada percorribile. Eravamo tre donne in mezzo a tanti uomini, e me la sono sempre cavata bene. Quest’anno ho iniziato con la Hornet Cup, un trofeo monomarca Honda, ma con le moto senza carenatura non mi trovavo benissimo. Così, grazie al mio team, la Scuola Federale Corsetti di San Lazzaro, e a un paio di sponsor che hanno creduto in me, Ansaloni Garden Center e Madica Milano, sono salita sulla Yamaha R6 alla Dunlop Cup 600».
Roba recentissima. Un paio di settimane fa, al Mugello da debuttante, Rebecca non si è lasciata intimorire da una pista affascinante e impegnativa.
«Difficile, sì, ma fantastica per chi ama questo sport. Me la sono cavata: in gara eravamo trentotto, e solo due ragazze. Ne ho lasciati dietro diciotto. Soprattutto, ho trovato un feeling immediato con questa moto, ho capito che mi ci posso divertire».
Lo ha fatto pochi giorni fa, appunto. Nella prova unica tricolore, tutta al femminile, solo una avversaria esperta come Letizia Marchetti, venticinque anni e otto stagioni di campionati europei alle spalle, è riuscita a tener testa a Rebecca.
«Bel risultato, perché lì in mezzo ero senza dubbio la meno esperta, e la più giovane. L’età media è intorno ai trent’anni, io ne ho appena sedici».
Un pieno d’entusiasmo che verrà buono per il futuro. L’anno prossimo il campionato italiano femminile si disputerà su tre prove. «E io cercherò di esserci. Ma adesso c’è un altro impegno importante, la scuola. Frequento il liceo scientifico San Vincenzo de Paoli, a indirizzo sportivo. E quando avrò finito vorrei fare Scienze Motorie. i miei genitori, quando hanno capito la mia passione, sono stati chiari: vai in pista se sei brava a scuola. E io ho risposto con la media dell’otto».
Ha anche un idolo, ovviamente. Valentino Rossi, che presto comincerà a respirare l’aria di Bologna. O meglio, di Borgo Panigale. «Un grande, e mi fa piacere che venga in Ducati. Non l’ho mai conosciuto, ma papà lo ha visto crescere. E conosco Graziano, suo padre. Piloti famosi? Beh, ho visto da vicino Stoner e Hayden, quando hanno fatto un servizio in sala posa con mio padre. Ma non li ho pressati dicendo loro che anch’io vado in moto: mi è bastato fare una foto ricordo con loro. La Ducati? Mi piace, naturalmente. Il mio sponsor, Ansaloni, ne ha una e dice che uno di questi giorni me la farà provare. In futuro, chissà, non si deve mai dire mai. Ma per ora mi godo la mia Yamaha, guidarla mi piace tantissimo».
Ha provato tanti sport, Rebecca. Ma è finita in pista, e sa bene perché. «Da piccola giocavo a tennis, come mio padre. Ho fatto danza moderna, come voleva mamma, ma solo per un anno. E poi nuoto, e soprattutto karate, che mi ha insegnato come si fa a cadere, sperando che succeda il meno possibile. Ma il motociclismo è un’altra cosa. Una passione vera che nella mia mente ha cancellato gli altri sport. Mi piace scendere in pista e vedere che faccio progressi. In pista, ho detto. Nella vita di tutti giorni non uso nemmeno il motorino. Prendo l’autobus».
L'Informazione di Bologna, 15 settembre 2010
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