Ha guidato la società dal 1968 al 1989, riportandola ai vertici del basket. Burbero ma generosissimo, ha regalato a Bologna grandi allenatori e talenti leggendari
testo di Marco Tarozzi
Succede a Bologna che i grandi dirigenti sportivi
arrivino da fuori città. Succede ed è successo. Forse c’entra l’aria
cosmopolita dell’Università. E’ la teoria di Giorgio Bonaga, emerito professore
dell’Ateneo, testimone e protagonista della vita cittadina, amico fin da
ragazzo di Lucio Dalla, Gianni Morandi e tante anime creative: lui parla di
città “che accoglie, ma nell’accogliere
fa tesoro dei diversi stimoli culturali che arrivano e si depositano sull’humus
cittadino”.
Così è successo che il più grande presidente della storia del Bologna, Renato
Dall’Ara, fosse nativo di Reggio Emilia. Ed è successo che l’uomo che ha
rilanciato la Virtus Pallacanestro, prendendone il timone in uno dei periodi
più difficili della sua storia, arrivasse da Mantova. Si chiamava Gianluigi
Porelli, ma nell’ambiente universitario, dove subito lasciò intuire la sua
capacità di leadership, diventò quasi subito Gigi.
RE
DEI GOLIARDI. Arriva in città per studiare
Giurisprudenza, il futuro avvocato Porelli. Classe 1930, si muove nel ’49 in una
Bologna che mostra ancora le ferite della guerra. La voglia di vivere non gli
manca, e la esterna diventando capo indiscusso della goliardia universitaria. Lo
dipingono come un tipo che va per le spicce, ma lui non rinnegherà mai quegli
anni: “All’inizio ero Barone di
Giustizia, tenevo ogni mattina tribunale all’Osteria delle Campane per le
controversie sulle matricole. Poi diventai Gran Maestro del Fittone, fino a
ventotto anni. Il mio “ufficio”, diciamo così, era il Caffè del Teatro. Giocavo
a carte e boccette, studiavo poco ma mi salvava una memoria formidabile”.
TABULA
RASA.
In gioventù aveva nuotato, abbozzato un inizio di carriera da pugile e
soprattutto giocato a tennis, fino a raggiungere la Terza categoria. Continua a
farlo alla Virtus Tennis, naturalmente attratto da un simbolo per il quale
stravedeva anche a Mantova. “Avevo poche
certezze: Bartali, l’Inter e la Virtus, anche se di pallacanestro capivo poco o
nulla”.
In via Valeriani fa molto più che calpestare la terra rossa: entra negli
uffici, pochi anni e tutto passa dalle sue mani. Il lavoro è egregio, al punto
che Giovanni Elkann, già deputato e dai primi anni Sessanta presidente della
Sef Virtus, gli chiede il favore di occuparsi della sezione basket, in quel
momento piuttosto disastrata. Lui accetta e si focalizza su reperimento delle
finanze, costruzione del vivaio, rafforzamento della prima squadra. Lo fa a
modo suo, naturalmente. “Era una barca malandata. Ci ho rischiato la vita. Non
avevo mai firmato una cambiale, trovai un cumulo di debiti che mi angosciava. Gli ostacoli ambientali poi erano terrificanti.
C'erano cinquanta persone che volevano mettere naso, che sapevano tutto. Il
primo provvedimento fu quello di fare “tabula rasa”: mi chiusi in ufficio e
tagliai fuori tutti".
RIVOLUZIONE. Iniziano a chiamarlo Torquemada.
Gianfranco Civolani, a cui lo legherà un profondo rapporto di amicizia (che non
basterà a evitare una battaglia legale, poi finita in nulla) lo ribattezza “Duce
truce”, e lui mastica amaro perché “io ho
sempre votato a sinistra, questa storia del Duce non mi diverte troppo”.
Porelli gestisce a suo modo: niente più vantaggi, stop alle entrate di favore,
equilibrio economico che si fonda sulla fidelizzazione di sponsor e tifosi.
All’inizio cammina sul filo del rasoio, addirittura nella stagione 1970-71
tocca il punto più basso e complicato, con la squadra indebolita dalle cessioni
forzate di Lombardi e Cosmelli che si salva dalla retrocessione soltanto agli
spareggi di Cantù.
RINASCITA. E’ lo spartiacque. Da quel momento la
Virtus di Porelli inizia a ingranare, ritrova la fiducia dei tifosi. “Torquemada”
diventa “Provvidenza” nell’immaginario collettivo. Il primo colpo vincente si
chiama John Fultz, l’americano che fa innamorare la città e riporta gli
appassionati sugli spalti alimentando una rivalità sportiva con l’idolo
fortitudino Gary Schull: con Cochise e il Barone, amici fuori dal parquet,
rinasce BasketCity. Nell’estate 1973 la mossa a sorpresa: si parla dell’arrivo
di coach Rollie Massimino, gran maestro di basket universitario negli States, e
invece arriva un personaggio sconosciuto ed apparentemente eccentrico,
timoniere della poco considerata nazionale cilena: Dan Peterson. In quella
stagione con l’accoppiata Peterson-Fultz arriva la Coppa Italia, primo alloro
dell’era Porelli. Poi l’Avvocato, ormai guida sicura per i virtussini, porta a
palazzo un gioiello come Tom McMillen, grazie anche ai buoni uffici del
fratello John, vice di Peterson. Nel 1976, con una squadra che può far brillare
stelle come Terry Driscoll e Charlie Caglieris, arriva lo scudetto, che mancava
da vent’anni in casa Virtus.
DA VILLALTA A SUGAR. La Virtus di “Provvidenza” torna ad alta
quota. E Porelli mostra la sua grande capacità di guardare avanti, anticipando
i tempi. L’arrivo di Renato Villalta da Mestre è un affare da 400 milioni, un
record per l’epoca. “Un talento giovane
per uno sport giovane, in crescita costante”, spiega l’Avvocato. Negli anni
Ottanta saranno colpi sensazionali e a ripetizione, ma senza mai dimenticare i
valori fondanti e lo stile-Virtus, di cui Porelli traccia il solco. In
bianconero, come era successo per Peterson, diventa allenatore da scudetto
Terry Driscoll, prende l’abbrivio la carriera di Alberto Bucci, quindi quella
del suo giovane delfino Ettore Messina, destinato a diventare l’allenatore
italiano più blasonato. Bucci ha sempre ricordato le parole di Porelli quando
lo scelse: “Non voglio vincere sempre.
Voglio una squadra che vinca ogni tre, quattro anni, per non rendere monotono
il campionato”. Nel dubbio, Alberto vince già alla prima stagione, ed è lo
scudetto della Stella. Altra scelta quasi controcorrente: nel 1988 arriva a
brillare a Bologna la stella NBA Michael Ray Richardson, e Porelli si prende un
rischio elevatissimo conoscendo i motivi per cui “Sugar” ha dovuto lasciare in
fretta il pianeta delle stelle americane. Sarà ripagato con la conquista del
primo alloro continentale, la Coppa delle Coppe: il presidente, in quel 1990, è
già Paolo Francia, perché l’Avvocato ha impostato il proprio graduale
allontanamento dalla stanza del potere bianconero, ma in quella stagione la sua
presenza è ancora forte e rassicurante.
LA FORZA DEI GIOVANI. Sono tanti i nomi che hanno fatto grande
la Virtus nell’era Porelli. Richardson, certo, ma anche Creso Cosic, il “Barone
Nero” McMillian, Marquinho, Frederick. E italiani da leggenda: Brunamonti,
Binelli, Bertolotti, Bonamico, Caglieris. Ma il capolavoro dell’Avvocato è
stato quello di costruire un vivaio eccellente, che ha portato dieci tricolori
giovanili e tanti talenti. In questo c’è la mano, forte e discreta, di Paola,
la compagna di una vita, che tratta i ragazzi della foresteria come figli.
Paola che se ne è andata solo pochi mesi dopo quell’uomo dall’ombra gigantesca
di cui è stata, in tutto, l’altra metà. Gigi Porelli non è stato solo il “duce
truce”, ma un uomo incredibilmente generoso e appassionato. Non è stato solo
l’uomo che ha ridato credibilità e gloria alla Virtus, ma anche quello che ha
messo le fondamenta di Legabasket, e poi dell’Uleb, dando spessore al basket
europeo. Il suo motto è indimenticabile: “La
tragedia peggiore che possa capitare ad un dirigente è di essere ammirato
attraverso una scorretta interpretazione delle sue scelte e decisioni”. Se
ripercorriamo la sua parabola, sportiva e di vita, non correremo mai questo
rischio.
GIANLUIGI
PORELLI è nato a Mantova nel 1930 e si è spento a Bologna, dove ha vissuto per
sessant’anni, nel 2009. Presidente e procuratore generale della Virtus
Pallacanestro dal 1968 al 1989, con lui la società ha vinto quattro scudetti,
fra cui quello della Stella nel 1984, tre Coppe Italia ed ha giocato due finali
europee, conquistando anche dieci titoli giovanili. Dal 1984 al 1992 è stato
vicepresidente vicario di Legabasket, di cui era stato un fondatore, e dal 1992
al 1999 vicepresidente della FIP. Nel 1991, insieme ad Eduardo Portela, ha
fondato l’Uleb di cui è stato presidente per otto anni, quindi presidente
onorario. Nel 2008 è stato eletto nella Hall of Fame della pallacanestro
italiana.
"Nelle Valli Bolognesi", luglio 2022