venerdì 12 agosto 2022

GIGI PORELLI, IL RIFONDATORE

 

Ha guidato la società dal 1968 al 1989, riportandola ai vertici del basket. Burbero ma generosissimo, ha regalato a Bologna grandi allenatori e talenti leggendari

testo di Marco Tarozzi

Succede a Bologna che i grandi dirigenti sportivi arrivino da fuori città. Succede ed è successo. Forse c’entra l’aria cosmopolita dell’Università. E’ la teoria di Giorgio Bonaga, emerito professore dell’Ateneo, testimone e protagonista della vita cittadina, amico fin da ragazzo di Lucio Dalla, Gianni Morandi e tante anime creative: lui parla di città “che accoglie, ma nell’accogliere fa tesoro dei diversi stimoli culturali che arrivano e si depositano sull’humus cittadino”.
Così è successo che il più grande presidente della storia del Bologna, Renato Dall’Ara, fosse nativo di Reggio Emilia. Ed è successo che l’uomo che ha rilanciato la Virtus Pallacanestro, prendendone il timone in uno dei periodi più difficili della sua storia, arrivasse da Mantova. Si chiamava Gianluigi Porelli, ma nell’ambiente universitario, dove subito lasciò intuire la sua capacità di leadership, diventò quasi subito Gigi.

RE DEI GOLIARDI. Arriva in città per studiare Giurisprudenza, il futuro avvocato Porelli. Classe 1930, si muove nel ’49 in una Bologna che mostra ancora le ferite della guerra. La voglia di vivere non gli manca, e la esterna diventando capo indiscusso della goliardia universitaria. Lo dipingono come un tipo che va per le spicce, ma lui non rinnegherà mai quegli anni: “All’inizio ero Barone di Giustizia, tenevo ogni mattina tribunale all’Osteria delle Campane per le controversie sulle matricole. Poi diventai Gran Maestro del Fittone, fino a ventotto anni. Il mio “ufficio”, diciamo così, era il Caffè del Teatro. Giocavo a carte e boccette, studiavo poco ma mi salvava una memoria formidabile”.

TABULA RASA. In gioventù aveva nuotato, abbozzato un inizio di carriera da pugile e soprattutto giocato a tennis, fino a raggiungere la Terza categoria. Continua a farlo alla Virtus Tennis, naturalmente attratto da un simbolo per il quale stravedeva anche a Mantova. “Avevo poche certezze: Bartali, l’Inter e la Virtus, anche se di pallacanestro capivo poco o nulla”.
In via Valeriani fa molto più che calpestare la terra rossa: entra negli uffici, pochi anni e tutto passa dalle sue mani. Il lavoro è egregio, al punto che Giovanni Elkann, già deputato e dai primi anni Sessanta presidente della Sef Virtus, gli chiede il favore di occuparsi della sezione basket, in quel momento piuttosto disastrata. Lui accetta e si focalizza su reperimento delle finanze, costruzione del vivaio, rafforzamento della prima squadra. Lo fa a modo suo, naturalmente. “Era una barca malandata. Ci ho rischiato la vita. Non avevo mai firmato una cambiale, trovai un cumulo di debiti che mi angosciava.
Gli ostacoli ambientali poi erano terrificanti. C'erano cinquanta persone che volevano mettere naso, che sapevano tutto. Il primo provvedimento fu quello di fare “tabula rasa”: mi chiusi in ufficio e tagliai fuori tutti".

RIVOLUZIONE. Iniziano a chiamarlo Torquemada. Gianfranco Civolani, a cui lo legherà un profondo rapporto di amicizia (che non basterà a evitare una battaglia legale, poi finita in nulla) lo ribattezza “Duce truce”, e lui mastica amaro perché “io ho sempre votato a sinistra, questa storia del Duce non mi diverte troppo”.
Porelli gestisce a suo modo: niente più vantaggi, stop alle entrate di favore, equilibrio economico che si fonda sulla fidelizzazione di sponsor e tifosi. All’inizio cammina sul filo del rasoio, addirittura nella stagione 1970-71 tocca il punto più basso e complicato, con la squadra indebolita dalle cessioni forzate di Lombardi e Cosmelli che si salva dalla retrocessione soltanto agli spareggi di Cantù.

RINASCITA. E’ lo spartiacque. Da quel momento la Virtus di Porelli inizia a ingranare, ritrova la fiducia dei tifosi. “Torquemada” diventa “Provvidenza” nell’immaginario collettivo. Il primo colpo vincente si chiama John Fultz, l’americano che fa innamorare la città e riporta gli appassionati sugli spalti alimentando una rivalità sportiva con l’idolo fortitudino Gary Schull: con Cochise e il Barone, amici fuori dal parquet, rinasce BasketCity. Nell’estate 1973 la mossa a sorpresa: si parla dell’arrivo di coach Rollie Massimino, gran maestro di basket universitario negli States, e invece arriva un personaggio sconosciuto ed apparentemente eccentrico, timoniere della poco considerata nazionale cilena: Dan Peterson. In quella stagione con l’accoppiata Peterson-Fultz arriva la Coppa Italia, primo alloro dell’era Porelli. Poi l’Avvocato, ormai guida sicura per i virtussini, porta a palazzo un gioiello come Tom McMillen, grazie anche ai buoni uffici del fratello John, vice di Peterson. Nel 1976, con una squadra che può far brillare stelle come Terry Driscoll e Charlie Caglieris, arriva lo scudetto, che mancava da vent’anni in casa Virtus.

DA VILLALTA A SUGAR. La Virtus di “Provvidenza” torna ad alta quota. E Porelli mostra la sua grande capacità di guardare avanti, anticipando i tempi. L’arrivo di Renato Villalta da Mestre è un affare da 400 milioni, un record per l’epoca. “Un talento giovane per uno sport giovane, in crescita costante”, spiega l’Avvocato. Negli anni Ottanta saranno colpi sensazionali e a ripetizione, ma senza mai dimenticare i valori fondanti e lo stile-Virtus, di cui Porelli traccia il solco. In bianconero, come era successo per Peterson, diventa allenatore da scudetto Terry Driscoll, prende l’abbrivio la carriera di Alberto Bucci, quindi quella del suo giovane delfino Ettore Messina, destinato a diventare l’allenatore italiano più blasonato. Bucci ha sempre ricordato le parole di Porelli quando lo scelse: “Non voglio vincere sempre. Voglio una squadra che vinca ogni tre, quattro anni, per non rendere monotono il campionato”. Nel dubbio, Alberto vince già alla prima stagione, ed è lo scudetto della Stella. Altra scelta quasi controcorrente: nel 1988 arriva a brillare a Bologna la stella NBA Michael Ray Richardson, e Porelli si prende un rischio elevatissimo conoscendo i motivi per cui “Sugar” ha dovuto lasciare in fretta il pianeta delle stelle americane. Sarà ripagato con la conquista del primo alloro continentale, la Coppa delle Coppe: il presidente, in quel 1990, è già Paolo Francia, perché l’Avvocato ha impostato il proprio graduale allontanamento dalla stanza del potere bianconero, ma in quella stagione la sua presenza è ancora forte e rassicurante.

LA FORZA DEI GIOVANI. Sono tanti i nomi che hanno fatto grande la Virtus nell’era Porelli. Richardson, certo, ma anche Creso Cosic, il “Barone Nero” McMillian, Marquinho, Frederick. E italiani da leggenda: Brunamonti, Binelli, Bertolotti, Bonamico, Caglieris. Ma il capolavoro dell’Avvocato è stato quello di costruire un vivaio eccellente, che ha portato dieci tricolori giovanili e tanti talenti. In questo c’è la mano, forte e discreta, di Paola, la compagna di una vita, che tratta i ragazzi della foresteria come figli. Paola che se ne è andata solo pochi mesi dopo quell’uomo dall’ombra gigantesca di cui è stata, in tutto, l’altra metà. Gigi Porelli non è stato solo il “duce truce”, ma un uomo incredibilmente generoso e appassionato. Non è stato solo l’uomo che ha ridato credibilità e gloria alla Virtus, ma anche quello che ha messo le fondamenta di Legabasket, e poi dell’Uleb, dando spessore al basket europeo. Il suo motto è indimenticabile: “La tragedia peggiore che possa capitare ad un dirigente è di essere ammirato attraverso una scorretta interpretazione delle sue scelte e decisioni”. Se ripercorriamo la sua parabola, sportiva e di vita, non correremo mai questo rischio.



GIANLUIGI PORELLI è nato a Mantova nel 1930 e si è spento a Bologna, dove ha vissuto per sessant’anni, nel 2009. Presidente e procuratore generale della Virtus Pallacanestro dal 1968 al 1989, con lui la società ha vinto quattro scudetti, fra cui quello della Stella nel 1984, tre Coppe Italia ed ha giocato due finali europee, conquistando anche dieci titoli giovanili. Dal 1984 al 1992 è stato vicepresidente vicario di Legabasket, di cui era stato un fondatore, e dal 1992 al 1999 vicepresidente della FIP. Nel 1991, insieme ad Eduardo Portela, ha fondato l’Uleb di cui è stato presidente per otto anni, quindi presidente onorario. Nel 2008 è stato eletto nella Hall of Fame della pallacanestro italiana.


"Nelle Valli Bolognesi", luglio 2022


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