di Marco Tarozzi
“Noi vogliamo la Virtus tricolor”, cantarono i tifosi sugli spalti. Era
una parola dimenticata da due decenni, “tricolore”.
ma dopo il successo a Varese tronava più che mai attuale. C’era solo una sfida,
quella con Udine, a separare i giganti della V nera dal trionfo. Non fu una
formalità, all’inizio, ma col passare dei minuti le tensioni si sciolsero e
accadde quello che doveva accadere. Quello per cui si era lavorato,
lucidamente, per un’intera stagione.
Quarant’anni
dopo. Era il 7 aprile 1976, quando
la Virtus vinceva al palasport di piazza Azzarita la partita di poule-scudetto
contro la Snaidero. Un netto 94-68 che assicurò alla truppa bianconera un
vantaggio di 4 punti sulla Mobilgirgi Varese, battuta anch’essa nel turno
precedente, a domicilio. Così, a una giornata dalla fine (mancava soltanto la
sfida casalinga con Cantù, che sarebbe andata in scena l’11 aprile), la V nera
si assicurò la matematica certezza di essere tornata sul trono della
pallacanestro italiana.
La storia,
che quasi sempre manda avanti i numeri a raccontare sé stessa, dice che quel 7
aprile lo scudetto diventò certezza. Ma non c’è dubbio che il momento più
importante di quel girone finale fosse arrivato tre giorni prima, con la
vittoria nell’inespugnabile Masnago contro la Mobilgirgi di Sandro Gamba, che aveva
appena conquistato il titolo di campione d’Europa a Ginevra . Risultato finale,
82-75 per Terry Driscoll e soci, in quella partita destinata a entrare nella
storia bianconera.
La Mobilgirgi
aveva dominato la stagione regolare, forte della conferma di Morse, convinto dalla
società a tornare dopo che nell’estate aveva già in pratica deciso di
restarsene definitivamente negli States, e le certezze che un gruppo di
italiani come Meneghin, Ossola, Iellini, Gualco, Bisson, Zanatta assicuravano.
Ma nella poule-scudetto la cavalcata bianconera fu inarrestabile: tredici
successi consecutivi, e il dodicesimo della serie fu quello pesantissimo di
Varese, contro i freschi campioni d’Europa, che aprì la strada al trionfo.
Quattro
giorni dopo il successo contro la Snaidero, la Virtus interruppe la serie,
perdendo in casa l’ultima partita di poule-scudetto contro Cantù. Con la testa
altrove, probabilmente: perché quella partita, ormai, non serviva ad altro che
a far festa per uno scudetto ritrovato, vent’anni dopo il sesto, arrivato
quando ancora si giocava in Sala Borsa. Questo era il settimo, ma anche il
primo conquistato nel piccolo grande Madison di piazza Azzarita. La
pallacanestro ritrovava la strada di Bologna, una delle sue piazze storiche.
Destinata a scrivere altre grandi racconti di campioni ed emozioni.
L’impresa della
V nera riuscì con Dan Peterson al
timone. Il piccolo gigante di Evanston, che aveva stupito tutti al suo arrivo
con quel “look” improbabile, la cadenza country, la chitarra pronta a suonare
ballate folk che richiamavano Bob Dylan e Pete Seeger, trovò la perfetta quadratura
del cerchio alla sua terza stagione bianconera: prima erano arrivate la Coppa
Italia del ’74, massima espressione dell’epopea di “Kociss” John Fultz, la
stagione ’75 del gioiello oxfordiano Tom McMillen, arrivato da pendolare dei
canestri grazie ai buoni uffici del cugino John, assistente del coach
bianconero. Ora, finalmente, era arrivato il momento dell’equilibrio, quello degno
di una corsa tricolore. L’avevano portato Terry
Driscoll, il bostoniano che
aveva calcato i parquet della Nba a Detroit, Baltimora e Milwaukee, e in cabina
di regìa Charlie Caglieris,
approdato alla V nera dopo una stagione sull’altra sponda di quella che sarebbe
diventata la Città dei Canestri, in casa Fortitudo. Era nata l’alchimia giusta,
quella che ogni coach insegue e ricerca, in un gruppo che poteva contare
sull’esperienza di Gigi Serafini e Gianni Bertolotti, il capitano, sulla
carica di gioventù di Marco Bonamico,
sulla tenacia di Massimo Antonelli, Aldo Tommasini, Piero Valenti, Mario Martini,
sulla fedele applicazione quotidiana di Massimo
Sacco.
Andò in
crescendo dopo una partenza faticosa, quella squadra, chiudendo al terzo posto
la stagione regolare. Fu perfetta nella poule finale che assegnava il
tricolore, come detto con 13 successi consecutivi, culminati nella vera e
propria impresa di Varese. Una stagione ad alta quota anche in Europa, dove la
squadra di Peterson (coadiuvato dal vice John
McMillen, tesserato anche come secondo straniero di Coppa) si fermò alle
semifinali di Korac.
Era stato
atteso, quello scudetto. Vent’anni esatti. Fu il coronamento della
ricostruzione voluta da Gigi Porelli,
che aveva affidato la presidenza a Fiero
Gandolfi, scomparso nel maggio 2015, e siglato uno storico contratto di
sponsorizzazione con Sinudyne, l’azienda di Ozzano Emilia di Bruno Berti e Antonio Longhi che sarebbe rimasta sulle maglie della Virtus per
dieci lunghe stagioni, conquistando tre scudetti. Curiosamente, quell’anno sia
Varese che Bologna avevano cambiato sponsor. La prima, lasciando l’abbinamento
storico con Ignis e sposando Mobilgirgi, salì sul trono d’Europa ma dovette
lasciare il tricolore nelle mani della seconda. Anche per Synudine, che portava
i sogni televisivi, ancora in bianco e nero, nelle case degli italiani. E che
in quell’aprile del 1976 sognò insieme alla Virtus e agli uomini che fecero
l’impresa.
La squadra campione: Bertolotti (capitano), Antonelli,
Bonamico, Caglieris, Driscoll, Martini, Sacco, Serafini, Tommasini, Valenti,
Baraldi, Frabboni, Generali. Allenatore:
Dan Peterson. Vice: John Mc Millen
(anche straniero di Korac).
Realizzatori: Bertolotti 826 punti; Driscoll 662,
Serafini 484, Antonelli 458, Caglieris 358, Bonamico 177, Valenti 57, Martini
56, Tommasini 43, Sacco 37.
Nella foto, la Sinudyne campione d’Italia
1975-1976.
In piedi da sinistra Marco Facchini (fisioterapista), Gianni Bertolotti, Aldo Tommasini, Gigi Serafini, Mario Martini, Terry Driscoll, Marco Bonamico, John McMillen (viceallenatore), Dan Peterson (allenatore). Accosciati da sinistra Giorgio Moro (preparatore atletico), Carlo Caglieris, Piero Valenti, Pietro Generali, Massimo Antonelli, Massimo Sacco, Stefano Frabboni.
In piedi da sinistra Marco Facchini (fisioterapista), Gianni Bertolotti, Aldo Tommasini, Gigi Serafini, Mario Martini, Terry Driscoll, Marco Bonamico, John McMillen (viceallenatore), Dan Peterson (allenatore). Accosciati da sinistra Giorgio Moro (preparatore atletico), Carlo Caglieris, Piero Valenti, Pietro Generali, Massimo Antonelli, Massimo Sacco, Stefano Frabboni.
(RenoNews, 10 aprile 2016)