Entra nella Hall of Fame del
basket italiano Achille Canna, grande cuore bianconero. Insieme a Ivan Bisson,
Bianca Rossi, Bogdan Tanjevic e la Pallacanestro Varese, l’ex giocatore e
dirigente virtussino riceve l’ambitissima onoreficenza “Una vita per il Basket”
dell’Italia Basket Hall of Fame 2015.
Achille, arrivato a Bologna
da Gradisca d’Isonzo, classe 1932, è rimasto in Virtus dal 1953 al 1962, ben
nove stagioni nelle quali collezionò 188 presenze e 1873 punti, vincendo due
scudetti, nel 1955 e 1956, in quell’originalissimo luogo adibito alla pallacanestro
che era la Sala Borsa.
Dopo gli anni vissuti in campo, della Virtus è stato dirigente a partire dagli anni di Porelli, ricoprendo tra gli altri gli incarichi di presidente, direttore sportivo, direttore generale.
Dopo gli anni vissuti in campo, della Virtus è stato dirigente a partire dagli anni di Porelli, ricoprendo tra gli altri gli incarichi di presidente, direttore sportivo, direttore generale.
Colonna della Nazionale,
nella quale ha collezionato 70 presenze, è stato tra i protagonisti azzurri
all'Olimpiade di Roma nel 1960.
Di seguito, un ricordo di
quegli anni e del leggendario Trio Galliera (Alesini, Calebotta, Canna),
attraverso le parole dello stesso Achille, dal libro “La voce del campione”
edito da Minerva.
QUELLI DEL TRIO GALLIERA
di Marco Tarozzi
Le storie d'amore, quelle
vere, durano nel tempo. E allora come vogliamo definirla, quella tra Achille
Canna e Bologna, nata in un giorno d'estate del '53 e viva e accesa oggi come
allora?
“Te lo dico io, come.
Bologna, e la Virtus naturalmente, mi hanno cambiato la vita. Qui mi sono
formato, sono diventato adulto, ho trovato un lavoro e una famiglia. Da qui non
mi sono più spostato. Ti basta?".
Amore, appunto. Nove stagioni
alla corte della V nera. E due scudetti storici, nel '55 e nel '56. Ma
ripartiamo da quella prima volta in città.
"A notarmi fu
Marinelli, dirigente di quella Virtus dei primi anni Cinquanta. Io giocavo
nell'Itala Gradisca, venni a sfidare la Virtus in Sala Borsa, posto da paura
per un avversario, e lui si appuntò il mio nome. Allora l'ambizione di tutti
era quella di trovare un posto di lavoro che permettesse di dedicarsi allo
sport con tranquillità, più in là non si andava. E qui a Bologna mi misi a fare
l'elettricista nei cantieri edili. Mi alzavo alle sette, smettevo di lavorare
alle sette e mezza di sera e poi andavo ad allenarmi".
Anni duri, tutto un altro
basket.
"Ma anni bellissimi,
anche. Per uno come me venire a giocare alla Virtus era un sogno, perché allora
le squadre di vertice erano a Bologna e a Milano. Qui il basket era ad
altissimo livello, proprio come adesso. Solo che le situazioni economiche erano
completamente diverse. Ma per l'epoca chi faceva basket a certi livelli era
comunque un privilegiato: io prendevo due stipendi, ero spesato di tutto. Ma è
chiaro che era tutta un'altra cosa, i guadagni ti aiutavano ma dovevi lavorare,
puntare al posto sicuro. Quando a sponsorizzare la Virtus arrivò la Minganti
trovai lavoro lì, e ci rimasi per circa cinque anni".
Il ragazzo di Gradisca si
innamora della città, della sua gente. E in squadra trova subito amicizie vere,
di quelle che vanno oltre il campo di gioco e riempiono la vita.
"Abitavo in un
pensionato in via Galliera, insieme a quelli che venivano da fuori, come
Alesini, Borghi, Calebotta. Io, Nino e Mario legammo subito, eravamo sempre
insieme e i compagni ci affibbiarono il soprannome di Trio Galliera, che non ci
levammo più di dosso. E' stata un'amicizia intensa, importante. Giocavamo
insieme anche in Nazionale, in campo ci conoscevamo a memoria, al di là degli
schemi. Voglio dire che sapevamo leggere l'uno dentro l'altro: se uno di noi
era sottotono, gli altri lo capivano al volo e cercavano di dargli una mano.
Stare insieme ci dava fiducia. Avevamo ruoli diversi, e tra di noi c'era grande
rispetto. Così cementammo la nostra amicizia, che diventò qualcosa di unico
anche nella vita di tutti i giorni".
Bandiere al vento, per la
Virtus di quegli anni.
"Non so se si può dire
così. Di sicuro io, come Alesini e Calebotta, qualcosa alla Virtus abbiamo
dato. In campo scendevamo sempre per vincere, e spendevamo tutta l'energia che
avevamo in corpo".
Così, arrivarono quei due
titoli italiani, e poi sarebbero passati vent'anni per riprendere l'abitudine.
"Era bella l'atmosfera
che si creò in città dopo quelle vittorie. La gente ti riconosceva, si fermava
a parlarti. Erano chiacchierate tranquille, direi familiari. Quando perdevi, ti
davano forza. Dài, che andrà meglio la prossima, e tu annuivi e sentivi che
sarebbe stato così. Oggi i giocatori sentono sulle spalle pressioni molto
maggiori, a volte cercano di sfuggire ad abbracci che rischiano di soffocarli.
Arrivare secondi spesso sembra un insuccesso e invece richiede, adesso come
allora, sforzi enormi, gli stessi che affronta chi ha vinto".
Arrivare secondi, ieri, in
fondo non era un dramma.
"C'era rivalità in
campo e poi si andava tutti a mangiare insieme, noi e gli avversari, e ci si
sfotteva in allegria. C'era uno spirito goliardico, e in questo Bologna ti
aiutava: il Pavaglione era il salotto dove discutevamo aspettando i giornali,
Lamma era il nido caldo in cui intavolavamo discussioni interminabili, tra una
portata e l'altra. C'era una frenesia del vivere contagiosa".
E c'era quell'icona del basket
che oggi è rinata nel suo splendore, ma ha bisogno di uno come Achille Canna,
uno che ci ha vissuto dentro, per raccontarla. C'era la Sala Borsa.
"Per chi veniva da
fuori, da avversario, un autentico inferno. Lo so, questa sensazione l'ho
vissuta giocando con l'Itala. Dalle tribune sopra le nostre teste arrivava un
baccano infernale, la gente batteva ritmicamente i tabelloni pubblicitari in
ferro. E poi c'era quel pavimento in mattonelle, guarda caso bianche e nere,
che ti infastidiva, ti faceva perdere il senso della posizione se non restavi
concentrato. Poi sono arrivato in Virtus e la storia è cambiata all'improvviso:
quel baccano era diventato uno stimolo eccezionale, e quel pavimento, a forza
di allenarcisi sopra, non aveva più segreti. Armi in più. Il bello, comunque, è
che finita la partita finiva tutto: niente risse, niente problemi. C'erano le
partite infuocate contro Pesaro, già allora cariche di significati, o i derby
con Gira e Moto Morini. Grandi sfide, la Sala Borsa che sembrava esplodere, e
alla fine solo discussioni, dibattiti animati ma pacifici".
Achille Canna ha chiuso con
la Virtus nel '61. Da giocatore. Dal basket non si è mai allontanato.
"Il basket di oggi lo
vivo bene. In mezzo ai giovani, ed è la cosa più importante. Certo, ci sono
cose che fatico a capire, ma mi rendo conto che è un altro mondo,
professionismo vero. Noi vecchi ci dobbiamo adattare, ci sono regole che puoi
condividere o meno ma che devi accettare. Il passato non può essere un metro di
paragone. E' bello da rivedere, magari da sfogliare come un album di ricordi
buoni, ma senza troppa nostalgia. Io ricordo la mia epoca, sono felice di
quello che ho fatto e guardo al futuro".
Il segreto di Achille,
quello del Trio Galliera. Quello che ha scritto un bel capitolo della storia
della Virtus, del basket italiano. Uno che del basket è ancora innamorato.
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