Checco Costa, anima
instancabile della rinascita del motociclismo in quella terra magica ai confini
tra Emilia e Romagna, non aveva mai avuto dubbi. Lui le gare americane
riservate alle moto di grossa cilindrata, quelle di Daytona e Ontario per
intenderci, le aveva studiate bene. Era certo che l’ennesima creatura partorita
dalla sua mente fervida e appassionata, la “200
Miglia di Imola”, avrebbe colpito nel segno, e dritto al cuore degli
innamorati dei motori. Ma la mattina di quel 23 aprile 1972, anche gli scettici
si inchinarono alla sua idea meravigliosa: le strade che portavano
all’autodromo erano intasate, lo stesso Paul
Smart che quella corsa l’avrebbe vinta di lì a poche ore ricorda “la difficoltà ad arrivare alla zona dei box
per la partenza”.
Un successo annunciato, insomma.
Anche perché Costa, organizzatore eccelso (la “Coppa d’Oro Shell”, nata nel 1954, fu per anni la gara italiana
col montepremi più ricco, e lo stesso circuito imolese aveva visto i natali
grazie al suo impegno e alla sua lungimiranza) aveva fatto le cose per bene,
convincendo tutte le principali case costruttrici a non mancare
all’appuntamento. Lo schieramento era da grandi occasioni: 42 piloti in pista,
sette Honda e altrettante Kawasaki, e poi Triumph, Norton, Suzuki, BMW, BSA, Moto
Guzzi, e certamente non poteva mancare la MV Agusta, che aveva preparato in
fretta una 750 per Sua Maestà Giacomo
Agostini.
E c’era la Ducati, che per l’occasione aveva fatto le cose in grande, mobilitando la squadra corse e proponendo la guida delle sue moto a fortissimi centauri. Per primi furono interpellati pezzi da novanta come Saarinen, Pasolini, Grant, ma dopo il loro rifiuto la casa di Borgo Panigale decise di affidarsi a una “bandiera”, un fedelissimo come Bruno Spaggiari, ormai sulla soglia dei quarant’anni, ad Ermanno Giuliano e Alan Duscombe. Infine, grazie all’intermediazione della moglie, sorella di Barry Sheene, disse sì anche l’inglese Paul Smart, a cui oltre all’ingaggio fu promesso che in caso di vittoria avrebbe potuto portarsi via anche… la moto.
E c’era la Ducati, che per l’occasione aveva fatto le cose in grande, mobilitando la squadra corse e proponendo la guida delle sue moto a fortissimi centauri. Per primi furono interpellati pezzi da novanta come Saarinen, Pasolini, Grant, ma dopo il loro rifiuto la casa di Borgo Panigale decise di affidarsi a una “bandiera”, un fedelissimo come Bruno Spaggiari, ormai sulla soglia dei quarant’anni, ad Ermanno Giuliano e Alan Duscombe. Infine, grazie all’intermediazione della moglie, sorella di Barry Sheene, disse sì anche l’inglese Paul Smart, a cui oltre all’ingaggio fu promesso che in caso di vittoria avrebbe potuto portarsi via anche… la moto.
DALLA STRADA ALLA PISTA – La gara venne ribattezzata entusiasticamente “Daytona d’Europa” e raccontata alla vigilia come una sorta di
sfida del secolo. Ed in effetti il parterre era imperiale: oltre ad Agostini,
Smart e Spaggiari c’erano Phil Read,
Ron Grant, Tony Jeffries, Jack Findlay,
Roberto Gallina, Don Emde che aveva trionfato alla
Daytona originale, Vittorio Brambilla
che poi avrebbe scelto la strada della Formula Uno.
Prova riservata alle derivate di serie, e così da Borgo Panigale uscì in poco tempo la 750 Imola Desmo sulla base di alcuni esemplari prelevati dalla catena di montaggio, praticamente delle 750 Sport dotate di testate desmodromiche. Per l’occasione fu adottato un albero a camme più spinto, poi battezzato Imola, un motore che erogava 84 cv a 8800 giri. La livrea, ripresa dalla 500 GP, era ispirata a quella color argento delle GP anni ’50, un meraviglioso effetto “vintage”.
Prova riservata alle derivate di serie, e così da Borgo Panigale uscì in poco tempo la 750 Imola Desmo sulla base di alcuni esemplari prelevati dalla catena di montaggio, praticamente delle 750 Sport dotate di testate desmodromiche. Per l’occasione fu adottato un albero a camme più spinto, poi battezzato Imola, un motore che erogava 84 cv a 8800 giri. La livrea, ripresa dalla 500 GP, era ispirata a quella color argento delle GP anni ’50, un meraviglioso effetto “vintage”.
CAVALCATA TRIONFALE – Fu una sfida memorabile. Un pomeriggio di gloria per la Ducati, che
infilò una indimenticabile doppietta in fondo a un’interminabile corsa lunga
320 chilometri, ovvero 62 giri. A onor del vero, Agostini ci provò subito
partendo a razzo, ma la sua fuga durò pochi giri, e la sua corsa finì dopo
appena 42 tornate, con la sola consolazione di aver stampato il giro più veloce
del tracciato.
Dopo, fu un trionfo di lampi d’argento davanti alla folla galvanizzata. Un duello tra Smart, l’inglese arrivato senza troppa convinzione, stanco dopo una gara disputata ad Atlanta, e caricatosi giorno dopo giorno, e Spaggiari, grande cuore Ducati, vecchio campione probabilmente all’ultima grande occasione. Che a tre curve dal traguardo, sembrava aver realizzato il sogno. Quando la moto iniziò a perdere colpi alla Rivazza. Serbatoio a secco, benzina finita.
Dopo, fu un trionfo di lampi d’argento davanti alla folla galvanizzata. Un duello tra Smart, l’inglese arrivato senza troppa convinzione, stanco dopo una gara disputata ad Atlanta, e caricatosi giorno dopo giorno, e Spaggiari, grande cuore Ducati, vecchio campione probabilmente all’ultima grande occasione. Che a tre curve dal traguardo, sembrava aver realizzato il sogno. Quando la moto iniziò a perdere colpi alla Rivazza. Serbatoio a secco, benzina finita.
SPAGGIARI, CHE JELLA – “Smart rallentò con me, mi guardò.
Poi andò, che altro avrebbe potuto fare? Io avrei fatto la stessa cosa”, ha
sempre raccontato il grande centauro reggiano. Che in folle, e a motore spento,
andò a prendersi il secondo posto, e a completare la doppietta Ducati.
“Dopo, fu l’apoteosi”, ha ricordato Smart. “Io e Bruno tagliammo il traguardo, e per la prima volta da quando ero salito su quell’aereo ad Atlanta, sentii la tensione allentarsi. Mi resi conto di quello che era successo solo quando rientrai ai box, vedendo l’espressione sul volto dei componenti del team, e in particolare di Taglioni e Spairani. Esaltazione pura. Avevano scommesso, e avevano vinto. Poi ci fu il ritorno a Bologna, ci caricarono con le moto su un autocarro che aveva una parete di vetro, attraversammo la città in parata e ci fermammo davanti alla stazione, c’era una folla incredibile ad aspettarci. Avevo ancora la tuta addosso, ero stanchissimo, ma di andare a dormire con quella festa in corso non se ne parlava. Sembrava che la città si fosse riversata in strada, a celebrare la gloria della Ducati. Quel giorno compivo ventinove anni, fu un compleanno indimenticabile”.
“Dopo, fu l’apoteosi”, ha ricordato Smart. “Io e Bruno tagliammo il traguardo, e per la prima volta da quando ero salito su quell’aereo ad Atlanta, sentii la tensione allentarsi. Mi resi conto di quello che era successo solo quando rientrai ai box, vedendo l’espressione sul volto dei componenti del team, e in particolare di Taglioni e Spairani. Esaltazione pura. Avevano scommesso, e avevano vinto. Poi ci fu il ritorno a Bologna, ci caricarono con le moto su un autocarro che aveva una parete di vetro, attraversammo la città in parata e ci fermammo davanti alla stazione, c’era una folla incredibile ad aspettarci. Avevo ancora la tuta addosso, ero stanchissimo, ma di andare a dormire con quella festa in corso non se ne parlava. Sembrava che la città si fosse riversata in strada, a celebrare la gloria della Ducati. Quel giorno compivo ventinove anni, fu un compleanno indimenticabile”.
Al vecchio Spaggiari restò la soddisfazione di aver preso parte da
protagonista ad un evento memorabile, davanti a 150mila persone. Onorando una
volta di più la Ducati, cosa che faceva dal 1958, quando con la 125
Desmodromica aveva colto il suo primo e unico successo nel Mondiale, sul
circuito di Monza. Ed un secondo posto che avrebbe bissato nel 1973, alle
spalle di Jarno Saarinen ed a quarant’anni compiuti. La Ducati, del resto, ha
trovato il modo di onorare lui, dedicandogli un modello, la Scrambler Café
Racer, nel 2016. E bene ha fatto, perché se oggi tutti hanno negli occhi il
capolavoro di Dovizioso al RedBull Ring, in Austria, e un passato recente fatto
di gloria tra MotoGp e Superbike, pochi forse ricordano che fu proprio
Spaggiari uno dei primi piloti a far brillare la stella della casa di Borgo
Panigale, di cui ancora ragazzino fu collaudatore prima ancora che pilota
ufficiale.
Così come vale la pena ricordare una corsa mitica come la “200 Miglia di Imola” che poi, spalmata su due manches, infilò nell’albo ‘oro i nomi di Saarinen, Agostini, Cecotto, Baker, Roberts, Lucchinelli, Lawson, e che in qualche modo accese la scintilla che qualche anno dopo avrebbe portato alla nascita del Mondiale Superbike.
Più Stadio, settembre 2019
Così come vale la pena ricordare una corsa mitica come la “200 Miglia di Imola” che poi, spalmata su due manches, infilò nell’albo ‘oro i nomi di Saarinen, Agostini, Cecotto, Baker, Roberts, Lucchinelli, Lawson, e che in qualche modo accese la scintilla che qualche anno dopo avrebbe portato alla nascita del Mondiale Superbike.
Più Stadio, settembre 2019