martedì 10 dicembre 2019

200 MIGLIA PER LA GLORIA



Checco Costa, anima instancabile della rinascita del motociclismo in quella terra magica ai confini tra Emilia e Romagna, non aveva mai avuto dubbi. Lui le gare americane riservate alle moto di grossa cilindrata, quelle di Daytona e Ontario per intenderci, le aveva studiate bene. Era certo che l’ennesima creatura partorita dalla sua mente fervida e appassionata, la “200 Miglia di Imola”, avrebbe colpito nel segno, e dritto al cuore degli innamorati dei motori. Ma la mattina di quel 23 aprile 1972, anche gli scettici si inchinarono alla sua idea meravigliosa: le strade che portavano all’autodromo erano intasate, lo stesso Paul Smart che quella corsa l’avrebbe vinta di lì a poche ore ricorda “la difficoltà ad arrivare alla zona dei box per la partenza”.
Un successo annunciato, insomma. Anche perché Costa, organizzatore eccelso (la “Coppa d’Oro Shell”, nata nel 1954, fu per anni la gara italiana col montepremi più ricco, e lo stesso circuito imolese aveva visto i natali grazie al suo impegno e alla sua lungimiranza) aveva fatto le cose per bene, convincendo tutte le principali case costruttrici a non mancare all’appuntamento. Lo schieramento era da grandi occasioni: 42 piloti in pista, sette Honda e altrettante Kawasaki, e poi Triumph, Norton, Suzuki, BMW, BSA, Moto Guzzi, e certamente non poteva mancare la MV Agusta, che aveva preparato in fretta una 750 per Sua Maestà Giacomo Agostini.
E c’era la Ducati, che per l’occasione aveva fatto le cose in grande, mobilitando la squadra corse e proponendo la guida delle sue moto a fortissimi centauri. Per primi furono interpellati pezzi da novanta come Saarinen, Pasolini, Grant, ma dopo il loro rifiuto la casa di Borgo Panigale decise di affidarsi a una “bandiera”, un fedelissimo come Bruno Spaggiari, ormai sulla soglia dei quarant’anni, ad Ermanno Giuliano e Alan Duscombe. Infine, grazie all’intermediazione della moglie, sorella di Barry Sheene, disse sì anche l’inglese Paul Smart, a cui oltre all’ingaggio fu promesso che in caso di vittoria avrebbe potuto portarsi via anche… la moto.
DALLA STRADA ALLA PISTA – La gara venne ribattezzata entusiasticamente “Daytona d’Europa” e raccontata alla vigilia come una sorta di sfida del secolo. Ed in effetti il parterre era imperiale: oltre ad Agostini, Smart e Spaggiari c’erano Phil Read, Ron Grant, Tony Jeffries, Jack Findlay, Roberto Gallina, Don Emde che aveva trionfato alla Daytona originale, Vittorio Brambilla che poi avrebbe scelto la strada della Formula Uno.
Prova riservata alle derivate di serie, e così da Borgo Panigale uscì in poco tempo
la 750 Imola Desmo sulla base di alcuni esemplari prelevati dalla catena di montaggio, praticamente delle 750 Sport dotate di testate desmodromiche. Per l’occasione fu adottato un albero a camme più spinto, poi battezzato Imola, un motore che erogava 84 cv a 8800 giri. La livrea, ripresa dalla 500 GP, era ispirata a quella color argento delle GP anni ’50, un meraviglioso effetto “vintage”.



CAVALCATA TRIONFALE – Fu una sfida memorabile. Un pomeriggio di gloria per la Ducati, che infilò una indimenticabile doppietta in fondo a un’interminabile corsa lunga 320 chilometri, ovvero 62 giri. A onor del vero, Agostini ci provò subito partendo a razzo, ma la sua fuga durò pochi giri, e la sua corsa finì dopo appena 42 tornate, con la sola consolazione di aver stampato il giro più veloce del tracciato.
Dopo, fu un trionfo di lampi d’argento davanti alla folla galvanizzata. Un duello tra Smart, l’inglese arrivato senza troppa convinzione, stanco dopo una gara disputata ad Atlanta, e caricatosi giorno dopo giorno, e Spaggiari, grande cuore Ducati, vecchio campione probabilmente all’ultima grande occasione. Che a tre curve dal traguardo, sembrava aver realizzato il sogno. Quando la moto iniziò a perdere colpi alla Rivazza. Serbatoio a secco, benzina finita.
SPAGGIARI, CHE JELLA “Smart rallentò con me, mi guardò. Poi andò, che altro avrebbe potuto fare? Io avrei fatto la stessa cosa”, ha sempre raccontato il grande centauro reggiano. Che in folle, e a motore spento, andò a prendersi il secondo posto, e a completare la doppietta Ducati.
“Dopo, fu l’apoteosi”, ha ricordato Smart. “Io e Bruno tagliammo il traguardo,
e per la prima volta da quando ero salito su quell’aereo ad Atlanta, sentii la tensione allentarsi. Mi resi conto di quello che era successo solo quando rientrai ai box, vedendo l’espressione sul volto dei componenti del team, e in particolare di Taglioni e Spairani. Esaltazione pura. Avevano scommesso, e avevano vinto. Poi ci fu il ritorno a Bologna, ci caricarono con le moto su un autocarro che aveva una parete di vetro, attraversammo la città in parata e ci fermammo davanti alla stazione, c’era una folla incredibile ad aspettarci. Avevo ancora la tuta addosso, ero stanchissimo, ma di andare a dormire con quella festa in corso non se ne parlava. Sembrava che la città si fosse riversata in strada, a celebrare la gloria della Ducati. Quel giorno compivo ventinove anni, fu un compleanno indimenticabile”.
Al vecchio Spaggiari restò la soddisfazione di aver preso parte da protagonista ad un evento memorabile, davanti a 150mila persone. Onorando una volta di più la Ducati, cosa che faceva dal 1958, quando con la 125 Desmodromica aveva colto il suo primo e unico successo nel Mondiale, sul circuito di Monza. Ed un secondo posto che avrebbe bissato nel 1973, alle spalle di Jarno Saarinen ed a quarant’anni compiuti. La Ducati, del resto, ha trovato il modo di onorare lui, dedicandogli un modello, la Scrambler Café Racer, nel 2016. E bene ha fatto, perché se oggi tutti hanno negli occhi il capolavoro di Dovizioso al RedBull Ring, in Austria, e un passato recente fatto di gloria tra MotoGp e Superbike, pochi forse ricordano che fu proprio Spaggiari uno dei primi piloti a far brillare la stella della casa di Borgo Panigale, di cui ancora ragazzino fu collaudatore prima ancora che pilota ufficiale.
Così come vale la pena ricordare una corsa mitica come la “200 Miglia di Imola” che poi, spalmata su due manches, infilò nell’albo ‘oro i nomi di Saarinen, Agostini, Cecotto, Baker, Roberts, Lucchinelli, Lawson, e che in qualche modo accese la scintilla che qualche anno dopo avrebbe portato alla nascita del Mondiale Superbike.

Più Stadio, settembre 2019




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