sabato 9 gennaio 2021

DAN PETERSON, L'UOMO CHE CI HA PORTATO L'AMERICA


 

Ottantacinque primavere, proprio oggi. E il bello è che ne ha vissute più qui in Italia che dall’altra parte dell’oceano. Perché l’uomo di Evanston, Illinois, ha deciso da tempo che la sua America è qui, nel Belpaese. E per quanto lo abbia girato, per quanto da tempo Milano sia il centro esatto del suo mondo, resta il fatto che per Daniel Lowell Peterson tutto è iniziato da Bologna, e dalla Virtus. Un racconto lungo e ricchissimo, iniziato nell’estate 1973.

COLPO A SORPRESA. Nico Messina ha finito la sua avventura sulla panchina della Virtus, e Gigi Porelli, l’Avvocato della storia e della gloria, va in cerca di maestri proprio là dove la pallacanestro ha mosso i primi passi. Si rivolge a Richard Kaner, agente di John Fultz, per cercare il nuovo timoniere, e la pronta proposta è Rollie Massimino, prestigioso allenatore di college da poco meno di un ventennio. Ma quando l’affare sembra fatto il coach firma per Villanova, e allora Kaner si mette di nuovo alla ricerca e in quattro e quattr’otto sfodera un nuovo nome. Pressoché sconosciuto, però. Questo Dan Peterson, che sbuca all’improvviso, ha due lauree, è insegnante di basket ed ha conseguito il titolo accademico in Sport Administration alla Michigan University. Dopodiché è volato in Cile a guidare quella che lui stesso definirà “la Nazionale più bassa del mondo”, portandola a risultati insperati.

TOM DOOLEY E CANESTRI. Porelli si fida di Kaner, l’affare si fa. Peterson approda a Bologna e certamente non passa inosservato: look da rocker, pantalone a zampa d’elefante, capelli a caschetto che cadono sulle spalle. Suona anche la chitarra, virando alle ballate folk: quella di Tom Dooley diventerà un “must” nelle serate con gli amici bolognesi. Insomma, a qualcuno scappa anche un mezzo sorriso, ma lui ci mette un attimo a diffondere il suo verbo: in poco tempo diventa padrone dello spogliatoio, diffondendo carisma e leadership. E’ autorevole, testardo, esigente. E’ passata alle antologie dell’aneddotica la reazione di Gigi Serafini quando il coach chiarisce di voler introdurre la regola dei due allenamenti. “Mi sembra un numero giusto”, commenta Gigi, prima che gli venga spiegato che si tratta di due sedute quotidiane, non settimanali.


DI NUOVO AL VERTICE. Alla prima stagione, la Virtus di Peterson conquista la Coppa Italia, trascinata da Fultz. Nel 1976 arriva anche lo scudetto, il settimo, vent’anni esatti dopo l’ultima grande gioia. In campo ci sono Driscoll, Caglieris, Serafini, Antonelli, “l’americano d’Italia” Gianni Bertolotti, un giovanissimo Marco Bonamico. La Virtus deve tanto a Dan, lui deve tanto alla Virtus e non lo dimenticherà mai. Anche quando, dopo aver brillato a Bologna, prende la strada di Milano andando a guidare l’Olimpia, dove vincerà quattro scudetti, una Coppa dei Campioni, una Korac e due Coppe Italia. Nel 1987, a soli 51 anni, Peterson dice basta. Si inventa un nuovo modo di raccontare la pallacanestro, porta la Nba nelle case degli italiani con le telecronache sulle reti Mediaset, dove introduce anche lo spettacolo del wrestling, diventa pure testimonial pubblicitario. Torna sulla panchina di Milano nel 2011, a 75 anni, per chiudere una stagione nata male: è l’eterno ragazzo di sempre.

PER NOI, NUMERO UNO. Oggi dice che per rilanciare la pallacanestro in Italia bisognerebbe tornare un po’ indietro, limitando il numero degli stranieri nel roster. Poi, si diverte a stilare la classifica del quintetto ideale della sua lunga avventura italiana: c’è molta Milano, ma in posizione di “quattro” mette sempre Terry Driscoll, l’uomo che guidò la sua Virtus in campo e poi ne raccolse l’eredità, vincendo altri due scudetti da coach. Insomma, nel suo concetto di basket c’è sempre un po’ di quella Bologna che gli ha aperto la via italiana al basket. Per noi numero uno, forever.

Marco Tarozzi

Più Stadio, 9 gennaio 2021

 

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