di
Marco Tarozzi
Pensare
al calcio quando intorno c’è da ricostruire quasi tutto. Assurdità. Spreco di
tempo ed energie. Ma sì, liberi di pensare anche questo, se vi piace. Perché su
quelle terre lì, a due passi da casa nostra, è passato un terremoto e ha
spazzato via muri, storia, speranze. Vale la pena di preoccuparsi per un
campionato, minore per giunta, che rischia di non ripartire?
Vale
eccome, l’idea dei ragazzi dell’ “Hic Sunt Leones Football antirazzista” di
Bologna. Perché ci regala un attimo di normalità, un vento di serenità in una
situazione che è ancora lontana dall’essere normale e serena. Loro hanno
adottato una squadra, ecco tutto. Hanno aderito al progetto “Senza campionato
mai” dell’Uisp nazionale e si sono ricordati di quei ragazzi. Quelli della “5
Ponti Canaletto” di Massa Finalese, una frazione di Finale Emilia. Erano andati
lì pochi giorni dopo le prime scosse, annusando incertezza e paura, cercando di
portare sostegno, e qualche sorriso ai bambini organizzando attività
ludico-sportive. Avevano visto i campi inagibili, quello “della domenica”
occupato dalla tendopoli di chi aveva perso tutto. Ed erano partiti da una
donazione, un sostegno economico. Gesto enorme per una squadra fatta da migranti,
studenti universitari, lavoratori precari. Non gli è bastato, perché ormai tra
quella gente avevano trovato amici, legami.Così gli “Hic Sunt Leones” hanno portato i fratelli di Massa Finalese sui loro campi, per giocare un’amichevole dove il terzo tempo ha contato più dei due tempi di gioco. Fratelli, finalmente e veramente. Non finirà qui, ormai è chiaro. “Anche se per noi era già un impegno, ci sembrava sterile portare un pugno di euro e andarcene”, spiega Roberto Terra, allenatore e (sempre meno) giocatore dei Leoni bolognesi. “Così abbiamo scelto di passare del tempo insieme, di dare una mano provando a sviluppare un progetto concreto di sostegno”. Coinvolgendo le altre squadre che in Italia hanno scelto di “adottare” società delle zone terremotate, come il San Precario di Padova e la polisportiva Assata Shakur di Ancona. “A metà ottobre ci rivedremo, insieme costruiremo qualcosa. Andremo avanti. Quello che è successo nelle terre colpite dal terremoto poteva capitare a noi”.
Ecco, pensare a un campionato da far ripartire, al pallone, allo sport significa esattamente questo. Per la gente di Finale è un “dopoguerra” difficile: ripartire dalle cose normali, da un calcio senza rabbia o vizi, riaccende il canale della speranza. E’ il messaggio dei Leoni, e ce lo teniamo stretto come un dono prezioso.
Piazza Grande, ottobre 2012
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