di Marco Tarozzi
Nelle sue
tasche c’erano le chiavi del palazzo. Del PalaDozza, quando ancora non si
chiamava così e lo definivano, semplicemente e a ragione, il “piccolo Madison”.
E le tasche erano quelle del grembiule nero, che gli davano quell’aspetto
austero sotto cui batteva un cuore pieno di passione, generoso, unico. Per la
pallacanestro, per il suo mestiere, per quel piccolo mondo antico che
l’avvocato Porelli gli aveva affidato, e che lui custodiva con cura, e
coltivava, e aiutava a crescere.
Amato era
molto più che “il custode del palazzo”. Se quello era il piccolo, grande regno
di una città avviata a diventare BasketCity, lui ne era il re silenzioso e
pieno di premure. Li aveva visti passare tutti, campioni e non. Erano i suoi
ragazzi. Aveva una passione per la Virtus, ma non la confessò se non nel
momento del “buen retiro” a Mongardino, perché aveva saputo farsi voler bene,
si era guadagnato rispetto e amicizia, anche sull’altra sponda, tra la gente
dell’Aquila. Così deve essere, tra chi vive di sport. E l’amicizia e il
rispetto, quelli veri, sono tesori preziosi. Amato lo sapeva, per tutta la vita
se li era tenuti stretti.
Aveva
inventato la serata magica, nel regno di piazza Azzarita. Illuminandolo a
giorno in quella notte incantata, mentre la metà bianconera del tifo bolognese
aspettava i reduci da Milano che stavano tornando a casa tenendo stretta in
pugno la Stella, dopo aver conquistato in fondo a una serie imprevedibile ed
irripetibile lo scudetto numero dieci nella storia virtussina. L’Avvocato era
con la squadra, naturalmente, e la responsabilità di accendere tutte le luci
del palazzo se la prese lui, Amato, piccolo sovrano taciturno che seppe fare la
cosa giusta al momento giusto. Illuminò la storia, e nessuno, poi, se lo sarebbe
mai più dimenticato.
Da piazza
Azzarita emigrò anni dopo a Casalecchio, un mondo nuovo dove fece in tempo a
testimoniare gli anni felici, l’età dell’oro di una Bologna che si era messa in
testa di diventare regina d’Europa, ancora più che d’Italia. Sempre tenendo a
mente quei tempi eroici da cui tutto era iniziato. Mai dimenticando la guida
dell’Avvocato, che quando occorreva gli chiedeva un parere, perché Amato negli
anni si era guadagnato questo lusso di pochi: poter dire la sua, quasi sempre
con poche parole, perché gli bastavano a definire la situazione mettendola nero
su bianco.
Ha visto il
grande basket e la grande musica, in piazza Azzarita. Ci passarono i Rolling Stones, gli Who, Miles Davis, Jimi Hendrix, Elton
John. Ha visto i campioni di tanti sport che quella bomboniera la sceglievano
per le loro esibizioni speciali. E lui, Amato, teneva in tasca le chiavi. E
quando le leggende se ne andavano, spegneva le luci e chiudeva le porte. Mito
tra i miti, per sempre.
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