martedì 5 maggio 2020

UNA CITTÀ DA GUARDARE SUL MURO



Un anno dopo, i giorni della Final Four, la trasferta bianconera, il tragitto dall’albergo al palazzo unica strada conosciuta. E l’emozione di alzare un trofeo continentale davanti a 23mila persone

di Marco Tarozzi


Primo maggio 2019. Ad Anversa fa freddo. Un freddo da tardo inverno, altro che primavera inoltrata. E la prima cosa che colpisce è vedere tutta quella gente che viaggia sulle ciclabili anche sotto certi scrosci d’acqua improvvisi. Un poncho addosso e via, pedalare controvento. E accidenti se tira, quel vento. Ad Anversa fa freddo, ma non dentro al cuore. C’è come un messaggio negli occhi di tutti quelli che sono partiti per andare incontro all’Europa. Perché di quello si tratta. Un altro pezzo di storia da assemblare a quella di un passato pieno di gloria. E un pezzo d’Europa da riconquistare, dopo tante tribolazioni. In sei stagioni alla Virtus, passate ad occuparmi di comunicazione, non ne avevo ancora sentite di vibrazioni così. Non dico più o meno forti di altre, dico proprio diverse.

UNA RINASCITA – C’era stato lo smarrimento dopo la retrocessione, che è qualcosa che colpisce forte, come una bastonata tra le spalle, e colpisce tutti. Puoi aver dato il massimo, puoi anche avere la coscienza a posto, ma il tuo lavoro si confonde e sbiadisce dentro una stagione così. C’era stato l’orgoglio della rinascita, quella cavalcata trionfale sui parquet della A2, la Coppa Italia di categoria e la promozione, roba che può anche far storcere il naso al tifoso intransigente, ma respirata da dentro aveva il profumo di qualcosa fatto alla vecchia maniera, conquistato da un gruppo di amici che si divertono insieme. Adesso c’è il freddo di Anversa. Città bellissima, dicono. Ad averla vista, si potrebbe anche avere un parere.


PACE E FUOCO - Ci sono gigantografie della città a tutta parete, ad ogni piano dell’albergo , davanti agli ascensori. Al mio, uno scorcio del centro storico. L’ho fotografato e mandato agli amici, per far vedere che i viaggi sono lavoro ma anche cultura. Di fatto, la città non l’ho praticamente vista. Giusto così, siamo qui per lavorare. E per regalarci, tutti, qualcosa di importante e irripetibile.
Ci credono in tanti, o almeno qualcuno ci ha scommesso. La troupe di RaiSport scesa nello stesso albergo. Così quella di Eurosport, con Marco Barzizza e cameraman che addirittura hanno seguito passo passo la squadra dalla partenza, per preparare uno speciale che poi potrà raccontare la Final Four con l’occhio dei vincitori. Quando le scommesse sono azzeccate, appunto.
Insomma, bisogna stare sul pezzo. E proprio qui, in questa hall durante un’intervista, Sasha Djordjevic conia la frase a effetto che diventa il mantra della spedizione. “Pace nella testa, fuoco nel cuore”. La chiave per la felicità.






LA GRANDE ARENA – Le scoperte. Marco Patuelli, responsabile operativo e mio compagno di stanza, segnala che a mezzo chilometro dall’hotel c’è un supermercato. Approfittando di una finestra di quaranta minuti tra un paio di interviste, mi fiondo a fare scorta di scatole di cioccolatini per i regali, non potendo puntare sui diamanti. C’è finalmente il sole e trovo superfluo portarmi un ombrello. Naturalmente, il solito scroscio di pioggia gelata mi accompagna sulla via del ritorno.
Per cinque giorni, il pullman messo a disposizione dall’organizzazione della Final Four (stesso autista, stesso accompagnatore che ci seguirà con mamma e papà fino ai saluti finali del lunedì mattina all’aeroporto) ci fa imparare a memoria lo stesso percorso. Dall’albergo allo Sportpaleis e ritorno. Per gli allenamenti, per le due partite, per le conferenze della vigilia.
Prima istantanea: quel palazzo incredibile, 23mila posti a sedere, che si riempie a poco a poco nella prima giornata, il 3 maggio, regalando la sensazione di essere davvero nel cuore di un evento irripetibile. E di nuovo un abbraccio ai tifosi di Bologna, tanti come chi si muove sentendo qualcosa nell’aria che non si può spiegare, bisogna soltanto esserci. E quelli di Tenerife, pochi ma coloratissimi e rumorosi. E i tedeschi, rassegnati. E quelli di Anversa: in uno sguardo, la risposta alla domanda delle domande, come mai proprio qui un palazzo che è una cattedrale dello sport? Qui, ogni volta che in cartellone c’è un evento, è “sold out”. Musica, soprattutto. Secondo Billboard, sarebbe la seconda arena più visitata al mondo dopo il Madison Square Garden. Bene, qualcosa di unico l’ho visto.


IL GRAN FINALE – Posso gettare i fogli sparsi dove avevo annotato, sai mai, tutti i posti a un’ora di macchina. Gand, la splendida Bruges, la stessa Bruxelles che sarebbe il centro di questa Europa cosiddetta unita. E Terneuzen, per vedere l’oceano già in terra olandese.  Niente, si vive qui. Fino al gran finale.
E quello resta davvero nella mente e nel cuore. La sera del 5 maggio, Punter come un anno prima gioca da MVP. la squadra gira e tiene a distanza Tenerife, Mario Chalmers sornione per tutta la partita inventa la genialata da NBA a poco più di un minuto, e chiude la partita. La Basketball Champions League è della Virtus.
Poi, i dettagli che restano negli occhi e resteranno nel tempo. Il ragazzo che arriva nello spogliatoio coi bicchieroni di plastica colmi di birra De Koninck, un biglietto da visita, altro che champagne. Baldi Rossi sulle spalle di Pajola a tagliare la retina del canestro, la squadra al centro del campo che alza il trofeo, la gioia dei tifosi. E finalmente il centro, attraversato a piedi dopo mezzanotte, e la festa nell’unica pizzeria aperta, immagini di Napoli alle pareti e la pizza più malriuscita che abbia mai assaggiato. Eppure, accidenti, anche quella sembra avere un profumo speciale.


TORNANDO A CASA – Di notte, il trolley da sistemare. Domani sarà ancora lunga, un lunedì di passione. Anversa-Milano, poi un viaggio interminabile in pullman, con l’autostrada bloccata e una mezza avventura per le strade provinciali. E a Casa Virtus la gente che aspetta per far partire la festa. Arrivo previsto alle 20, poi alle 21, poi ancora più in là. Sono le 22.30 quando si aprono i cancelli dell’Arcoveggio. La Virtus si è ripresa un po’ d’Europa. Aradori esce per primo, alzando la coppa. Sono in mille ad aspettarlo. E’ quasi notte e sembra giorno, e soprattutto non fa più freddo.

Più Stadio, 5 maggio 2020

(fotografie di Massimo Ceretti/Ciamillo-Castoria)


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