Dante Canè, il campione generoso
cresciuto in San Donato, che amava Cavicchi e arrivò a un soffio dal sogno
europeo
di Marco Tarozzi
Aveva un cuore così, il ragazzo della salumeria. Se ne
accorse subito anche il grande Cavicchi, l’eroe di quei tempi, a cui capitava
spesso di incrociare i guantoni con lui in palestra, durante gli allenamenti.
“S’avess me la voja ed lu què, a srev bèla campiàn dal mand”. Eh sì, Checco
aveva tecnica e fisico, ma si era convinto a fare il pugile professionista
perché la faccenda rendeva, e dopo ogni match poteva tornare a coltivare la sua
terra a Pieve di Cento, magari con un trattore o un po’ di vacche in più. Dante
Canè, invece, sul ring metteva davvero il cuore. Aveva la “tigna”, come si dice
a Bologna. Era un armadio, sì, ma non certo un Apollo. Un po’ di maniglie
dell’amore, per dire, anche se non certo come Bepi Ros, eterno rivale di cinque
epiche sfide con in palio il titolo italiano dei massimi. E non si arrendeva
mai, Dante. Quanto bastò per mettere in fila quattordici lunghi anni di
professionismo, dal 1964 a Natale del 1978, due assalti al titolo europeo e cinque
tra salite e risalite sul trono d’Italia: re dei massimi, tanta roba per uno
che fuori dal ring affettava mortadella nella salumeria di famiglia, all’angolo
tra via San Donato e via Galeotti. Il suo piccolo regno, la sua vita.
SULLE
ORME DI CHECCO – Era cresciuto lì, Dante Canè. Il
quartiere, il negozio, la balotta degli amici, quelli delle zingarate vere,
come prendere la bici in compagnia e partire al sabato per il mare, e poi tornare
la domenica sera sfiniti, dopo aver pedalato in ventiquattr’ore dall’Emilia
alla Romagna, andata e ritorno. Roba d’altri tempi. E poi la palestra della
Sempre Avanti, dove era entrato nel 1957, un po’ per curiosità e un po’ perché
allora gli eroi del pugilato facevano breccia nel cuore degli sportivi, e tutti
gli dicevano che con quel fisico lì, dai, bisognava provarci.
Ci provò, dunque, e incontrò subito Cavicchi, il suo idolo, e soprattutto il
maestro Leone Blasi, che ci mise poco a capire che quel ragazzo avrebbe potuto
fare una strada molto più che dignitosa. Narrava Dante che il primo con cui gli
toccò incrociare i guantoni in palestra fu Minarelli, un mediomassimo molto
quotato, e che quando lo mise al tappeto con un destro che sembrava un macigno,
si prese un po’ paura. Non gli era mai successo, e lì per lì non si rese conto
che aveva appena infilato una strada vincente.
LE
SFIDE CON BEPI – Due anni dopo, il gigante di San Donato
era campione italiano Novizi, titolo che poi conquistò altre tre volte. Nel
1964, quando passò al professionismo, aveva alle spalle un titolo mondiale
militare, una semifinale agli Europei, 104 incontri con 94 vittorie. Prima
sfida, il 18 dicembre di quell’anno nella sua Bologna, contro Dino Biato che
andò giù alla seconda ripresa. La cintura tricolore dei massimi la indossò per
la prima volta l’11 giugno 1969, al mitico teatro Ariston di Sanremo, battendo
quel Piero Tomasoni che già lo aveva battuto due anni prima, sempre col titolo
in palio, e con cui alla fine avrebbe incrociato i guantoni tre volte. Quel
tricolore lo avrebbe conquistato in tutto cinque volte, l’ultima nel 1977
contro Cattani, e tra difese, sconfitte e riconquiste ci si sarebbe battuto sul
ring quindici volte. Memorabili le sfide con Bepi Ros, la “roccia del Piave”,
eccezionale incassatore sempre un po’ sovrappeso. Dante lo affrontava con
quell’aspetto da Peppone guareschiano, il burbero buono che nella vita era un
pezzo di pane e sul ring spendeva fino all’ultima goccia di sudore. Fu una
sfida alla pari, nel corso di sei anni, tra il ’70 e il ’76: due vittorie a
testa e un pari che, nell’occasione, fu prezioso per Dantone che mantenne il
titolo.
L’AMERICA
E’ QUI – Aveva anche attraversato l’oceano, Canè. Due sfide al
Madison Square Garden di New York nel 1967, vittoria con Jerry Tomasetti e
sconfitta con James Woody. Altre tre l’anno successivo, ancora vittoria con
Tomasetti, e poi sconfitta a Toronto col più grande incassatore della storia
del pugilato, George Chuvalo, che aveva resistito anche al grande Muhammad Ali
e in carriera non sarebbe mai andato al tappeto. Poi, ancora New York contro
Davila e il ritorno a casa, perché, diceva Dante, un ragazzo di San Donato non
può poi starci così a lungo, in America.
IL
SOGNO EUROPEO – Il sogno vero, del resto, era l’Europa. E
ci andò davvero vicino, al titolo, il 28 febbraio 1975 davanti alla sua gente
al palasport di piazza Azzarita. Diecimila persone paganti, altri tempi per la
boxe. L’inglese Joe Bugner, detentore, approcciò l’impegno con sufficienza, ma
Dantone gli fece capire subito che ci sarebbe stato da sudare. Più tecnico il
campione, anche più scafato e “sporco”, come quando alla terza ripresa aprì una
ferita al sopracciglio del nostro, e non si capì mai se era stato un destro o
una testata. Più coraggioso, più appassionato Dante, che resse sanguinando
altre due riprese prima che l’arbitro fermasse l’incontro proprio a causa di
quella ferita, e alla fine uscì dal palazzo come il vincitore morale, portato
in trionfo dai tifosi.
L’ULTIMA
SFIDA – La seconda volta, ormai, era troppo tardi. Giorno di
Santo Stefano, 1978. Dante Canè ormai trentottenne contro Alfredo Evangelista,
ventiquattro primavere e nel pieno delle forze, che già si era battuto per il
mondiale Wbc con Alì e, un mese prima, con Larry Holmes. “Ma sì, le speranze
erano quelle che erano” confessò poi il nostro a Gianfranco Civolani, “ma vai a
sapere che Mi fosse riuscita una culata, chi lo sa…”
Niente da fare, i sogni non sempre si avverano. E dopo quella serata nel suo
palazzo, Dantone abbassò la saracinesca di una disciplina che ha amato, “perché
ho visto una bella fetta di un mondo tutto pieno di luci”.
Non aveva compiuto sessant’anni quando un giorno uscì dalla sua bottega, dove
ancora gli chiedevano di quei giorni felici, per prendere una boccata d’aria.
Cadde sul marciapiede e i primi che arrivarono gli dissero “mo dai Dante,
tirati su”. Lui non si alzò più, e ci lasciò il ricordo di un guerriero dalla
faccia buona.
Più Stadio, 6 maggio 2020
Nessun commento:
Posta un commento