giovedì 7 maggio 2020

PUGNI, SOGNI E SALUMI



Dante Canè, il campione generoso cresciuto in San Donato, che amava Cavicchi e arrivò a un soffio dal sogno europeo

di Marco Tarozzi

Aveva un cuore così, il ragazzo della salumeria. Se ne accorse subito anche il grande Cavicchi, l’eroe di quei tempi, a cui capitava spesso di incrociare i guantoni con lui in palestra, durante gli allenamenti. “S’avess me la voja ed lu què, a srev bèla campiàn dal mand”. Eh sì, Checco aveva tecnica e fisico, ma si era convinto a fare il pugile professionista perché la faccenda rendeva, e dopo ogni match poteva tornare a coltivare la sua terra a Pieve di Cento, magari con un trattore o un po’ di vacche in più. Dante Canè, invece, sul ring metteva davvero il cuore. Aveva la “tigna”, come si dice a Bologna. Era un armadio, sì, ma non certo un Apollo. Un po’ di maniglie dell’amore, per dire, anche se non certo come Bepi Ros, eterno rivale di cinque epiche sfide con in palio il titolo italiano dei massimi. E non si arrendeva mai, Dante. Quanto bastò per mettere in fila quattordici lunghi anni di professionismo, dal 1964 a Natale del 1978, due assalti al titolo europeo e cinque tra salite e risalite sul trono d’Italia: re dei massimi, tanta roba per uno che fuori dal ring affettava mortadella nella salumeria di famiglia, all’angolo tra via San Donato e via Galeotti. Il suo piccolo regno, la sua vita.

SULLE ORME DI CHECCO – Era cresciuto lì, Dante Canè. Il quartiere, il negozio, la balotta degli amici, quelli delle zingarate vere, come prendere la bici in compagnia e partire al sabato per il mare, e poi tornare la domenica sera sfiniti, dopo aver pedalato in ventiquattr’ore dall’Emilia alla Romagna, andata e ritorno. Roba d’altri tempi. E poi la palestra della Sempre Avanti, dove era entrato nel 1957, un po’ per curiosità e un po’ perché allora gli eroi del pugilato facevano breccia nel cuore degli sportivi, e tutti gli dicevano che con quel fisico lì, dai, bisognava provarci.
Ci provò, dunque, e incontrò subito Cavicchi, il suo idolo, e soprattutto il maestro Leone Blasi, che ci mise poco a capire che quel ragazzo avrebbe potuto fare una strada molto più che dignitosa. Narrava Dante che il primo con cui gli toccò incrociare i guantoni in palestra fu Minarelli, un mediomassimo molto quotato, e che quando lo mise al tappeto con un destro che sembrava un macigno, si prese un po’ paura. Non gli era mai successo, e lì per lì non si rese conto che aveva appena infilato una strada vincente.



LE SFIDE CON BEPI – Due anni dopo, il gigante di San Donato era campione italiano Novizi, titolo che poi conquistò altre tre volte. Nel 1964, quando passò al professionismo, aveva alle spalle un titolo mondiale militare, una semifinale agli Europei, 104 incontri con 94 vittorie. Prima sfida, il 18 dicembre di quell’anno nella sua Bologna, contro Dino Biato che andò giù alla seconda ripresa. La cintura tricolore dei massimi la indossò per la prima volta l’11 giugno 1969, al mitico teatro Ariston di Sanremo, battendo quel Piero Tomasoni che già lo aveva battuto due anni prima, sempre col titolo in palio, e con cui alla fine avrebbe incrociato i guantoni tre volte. Quel tricolore lo avrebbe conquistato in tutto cinque volte, l’ultima nel 1977 contro Cattani, e tra difese, sconfitte e riconquiste ci si sarebbe battuto sul ring quindici volte. Memorabili le sfide con Bepi Ros, la “roccia del Piave”, eccezionale incassatore sempre un po’ sovrappeso. Dante lo affrontava con quell’aspetto da Peppone guareschiano, il burbero buono che nella vita era un pezzo di pane e sul ring spendeva fino all’ultima goccia di sudore. Fu una sfida alla pari, nel corso di sei anni, tra il ’70 e il ’76: due vittorie a testa e un pari che, nell’occasione, fu prezioso per Dantone che mantenne il titolo.

L’AMERICA E’ QUI – Aveva anche attraversato l’oceano, Canè. Due sfide al Madison Square Garden di New York nel 1967, vittoria con Jerry Tomasetti e sconfitta con James Woody. Altre tre l’anno successivo, ancora vittoria con Tomasetti, e poi sconfitta a Toronto col più grande incassatore della storia del pugilato, George Chuvalo, che aveva resistito anche al grande Muhammad Ali e in carriera non sarebbe mai andato al tappeto. Poi, ancora New York contro Davila e il ritorno a casa, perché, diceva Dante, un ragazzo di San Donato non può poi starci così a lungo, in America.


IL SOGNO EUROPEO – Il sogno vero, del resto, era l’Europa. E ci andò davvero vicino, al titolo, il 28 febbraio 1975 davanti alla sua gente al palasport di piazza Azzarita. Diecimila persone paganti, altri tempi per la boxe. L’inglese Joe Bugner, detentore, approcciò l’impegno con sufficienza, ma Dantone gli fece capire subito che ci sarebbe stato da sudare. Più tecnico il campione, anche più scafato e “sporco”, come quando alla terza ripresa aprì una ferita al sopracciglio del nostro, e non si capì mai se era stato un destro o una testata. Più coraggioso, più appassionato Dante, che resse sanguinando altre due riprese prima che l’arbitro fermasse l’incontro proprio a causa di quella ferita, e alla fine uscì dal palazzo come il vincitore morale, portato in trionfo dai tifosi.

L’ULTIMA SFIDA – La seconda volta, ormai, era troppo tardi. Giorno di Santo Stefano, 1978. Dante Canè ormai trentottenne contro Alfredo Evangelista, ventiquattro primavere e nel pieno delle forze, che già si era battuto per il mondiale Wbc con Alì e, un mese prima, con Larry Holmes. “Ma sì, le speranze erano quelle che erano” confessò poi il nostro a Gianfranco Civolani, “ma vai a sapere che Mi fosse riuscita una culata, chi lo sa…”
Niente da fare, i sogni non sempre si avverano. E dopo quella serata nel suo palazzo, Dantone abbassò la saracinesca di una disciplina che ha amato, “perché ho visto una bella fetta di un mondo tutto pieno di luci”.
Non aveva compiuto sessant’anni quando un giorno uscì dalla sua bottega, dove ancora gli chiedevano di quei giorni felici, per prendere una boccata d’aria. Cadde sul marciapiede e i primi che arrivarono gli dissero “mo dai Dante, tirati su”. Lui non si alzò più, e ci lasciò il ricordo di un guerriero dalla faccia buona.


Più Stadio, 6 maggio 2020






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