mercoledì 3 giugno 2020

L'ULTIMA BATTAGLIA DEL PRESIDENTE





Il 3 giugno, a quattro giorni dallo spareggio, Renato Dall’Ara è in Lega a Milano per discutere di premi partita col collega Moratti. E lì il suo cuore cessa di battere



di Marco Tarozzi





Sono giorni concitati, convulsi. Perché un finale di campionato così non si era mai visto, né mai più si vedrà. Il 16 maggio è arrivata la decisione finale ed inappellabile della Caf riguardo alla vicenda-doping, che ormai è palesemente derubricata alla voce “solenni montature”. Il Bologna, innocente come i suoi cinque incriminati, riottiene i tre punti che gli erano stati tolti con un’ingiusta penalizzazione e si ritrova in cima alla classifica, a pari merito con l'Inter. E nella stessa situazione le due prime della classe si trovano dopo il fischio finale delle partite dell’ultima giornata, il 31 maggio: un rigore di Haller dà ai rossoblù la vittoria sulla Lazio, mentre un’Inter affaticata dalla sfida vittoriosa di Coppa Campioni col Real Madrid batte l’Atalanta, 2-1. La classifica dice che Bologna e Inter sono prime a quota 54. Occorre lo spareggio, novità assoluta nella storia della Serie A. E bisogna pensare a tutto, anche ai dettagli, in pochi giorni.



DIVERSI E UGUALI – Focus sui presidenti, adesso. Dall’Ara e Moratti sono così diversi e così uguali. Entrambi hanno costruito le loro fortune partendo dal basso, per necessità o per scelta. Renato Dall’Ara, per dire, da un piccolo maglificio poi diventato fabbrica, più precisamente laboratorio di confezioni “lana purissima” su cui ha costruito le fortune personali. Angelo Moratti, figlio di borghesia benestante, padre farmacista, si è allontanato ancora ragazzo dalla famiglia, dopo la morte della madre e la difficile convivenza con la matrigna; a partire da quando aveva sedici anni ha fatto molti mestieri, poi da rappresentante di combustibili è diventato produttore, da oltre trent’anni precorre i tempi e cavalca l’onda di scenari in evoluzione, ha fondato da appena due anni il colosso Saras, in Sardegna, ed è ormai considerato il “grande petroliere d’Italia”.



IL PADRONE SONO IO – Hanno un modo molto simile di trattare l’argomento calcio, e di gestire le loro società. Presidenti-padroni, che si muovono in prima persona senza necessità di avere intorno troppi consiglieri. Filiera che più corta non si può. Non si contano i “ci penso io” di Dall’Ara, e significano esattamente questo, che il problema va risolto in prima persona. Quanto a Moratti, vale per tutto una sua dichiarazione: “Tutta l’Inter è personalmente mia”. Ecco, ad una manciata di giorni dallo spareggio del 7 giugno, tocca a loro dirimere anche le ultime questioni.
Dall’Ara non si fa certo intimorire dal carisma del petroliere. Va giù deciso, a margine di un’intervista concessa in quei giorni a Luciano Parisini: “Senta, sa cosa ci dico io a quello lì: mi faccia il pieno e mi lavi i vetri…”



TRISTI AVVISAGLIE“Vado nel suo ufficio a Milano e gliene dico quattro. E ci vado da solo!”. Dall’Ara non sta bene e lo sa. Ha il cuore malandato, gli consigliano di non affrontare le fatiche di un viaggio, seppur breve. E’ reduce da una lunga convalescenza, due mesi a letto e una villeggiatura a Napoli, dopo che l’esplosione del “caso doping” gli aveva dato il colpo più forte e brutto di tutti. E’ tornato al Comunale dopo una lunga assenza proprio per assistere alla partita dell’ultima giornata contro la Lazio, ma ha dovuto prendere anzitempo la strada di casa. Troppe emozioni, soprattutto nel momento in cui ha circolato la notizia, poi evidentemente risultata falsa, del pari tra Inter e Atalanta e del conseguente scudetto già cucito sulle maglie rossoblù. A posteriori, un osservatore attento come Vittorio Pozzo scriverà che gli sono state fatali proprio le emozioni di quella sera.
Proprio per questo il consiglio è quello di non prendere la strada per Milano. Ma lui non sente ragione, deve salvaguardare il suo Bologna, i suoi ragazzi, il suo sogno che, dopo anni di vacche magre, ha saputo ricostruire con pazienza e intelligenza.

FACCIA A FACCIA - Non serve, andare nell’ufficio di Moratti. La convocazione arriva dal presidente della Lega Nazionale, Giorgio Perlasca, e Dall’Ara mercoledì 3 giugno sale in auto a Milano insieme alla moglie Nella e al medico di fiducia, il dottor Pinetti. C’è da stabilire l’entità del premio partita da erogare ai giocatori impegnati nello spareggio dell’Olimpico, e il presidente rossoblù vuole che le cifre siano eque e ben distribuite. Perlasca ci vede anche l’occasione per allentare la tensione in vista della sfida, ed attenuare le frizioni tra le due società, alimentate anche da una stagione piena di colpi di scena a tinte gialle.
Moratti arriva alle 17.22, i tre si chiudono nell’ufficio di Perlasca. La signora Nella ne approfitta per andare a fare qualche commissione, quello che adesso chiameremmo “shopping”, il dottor Pinetti resta al di là della porta, in sala d’attesa. La discussione parte serena, e ufficialmente resta tale fino all’epilogo, ma nel tempo si comincerà a parlare di toni che si erano fatti via via più concitati. Ci sta, Dall’Ara ha un carattere impulsivo, ed è lì per difendere il Bologna. All’improvviso, si appoggia allo schienale della sedia, poi si piega verso sinistra, cade quasi in grembo a Moratti che lo sorregge. Arriva il dottore, è una questione di secondi. Ma non c’è niente da fare: infarto fulminante, il presidentissimo questa volta ha chiuso gli occhi per sempre.



IN NOME DEL “PRES” – Ha soltanto settantadue anni, Dall’Ara, nei quali ha accumulato troppe fatiche. Al Bologna ha dato trent’anni di passione e, al momento della morte, tanta splendida argenteria per la bacheca: quattro campionati italiani (in attesa del quinto, da conquistare a giorni), una Coppa Europa, il Torneo dell'Esposizione di Parigi, la Coppa dell'Europa Centrale.
La notizia arriva a Bologna in un attimo, la sconvolge. La società chiede un rinvio, che viene respinto. Si deve giocare il 7 giugno, non c’è tempo per elaborare il lutto. Destino assurdo: Dall’Ara non potrà vedere il capolavoro finito, dopo tanti anni di sofferenza, di critiche, di lavoro per riportare il Bologna ai vertici. Ma se la sorte è stata spietata, se la salita è stata così dura, adesso il Bologna ha un motivo in più per farsi padrone del proprio destino e portare a casa quel settimo scudetto.

Più Stadio, 3 giugno 2020




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