“Mi
piace la campagna, in fondo ci sono nato. Se studiassi agraria, potrei fare il
contadino con basi scientifiche, moderne. A Portonovo ci sono le zanzare, a
Bologna c’è la nebbia e molto freddo. Eppure non c’è altra campagna al di fuori
di Portonovo dove io vorrei stare, e non c’è altra città oltre a Bologna dove
vorrei andare”.
Giacomo Bulgarelli
Benvenuti a Portonovo, quindici chilometri da Medicina, un punto smarrito nella
Bassa dove è nato l’ultimo gigante rossoblù. Ieri avrebbe festeggiato le
ottantadue primavere, Giacomo Bulgarelli, se non se ne fosse andato troppo
presto. Ma se venite qui, a camminare in un pomeriggio d’ottobre dentro una
storia di paese e di margine, troverete mille dettagli che parlano ancora di
lui. Magari, proprio come Giacomino da bimbo, avrete la fortuna di vedere un “saiano”.
Dicono che non esista, un animale così; ma se lui lo ha incrociato, non può che
essere stato in questa campagna.
MONDO PICCOLO. Portonovo
ha un cuore antico. Fu fondata nel 1334, quando fu costruito il “Canale di
Trecenta”, il tratto navigabile di Buda che portava le merci verso Ferrara e
Modena. Un porto nuovo, appunto: per questo la strada che arriva dentro al
paese è una sottile linea grigia: dalla San Vitale quattro chilometri dritti
verso Buda, una curva ad angolo retto verso destra, mezzo chilometro e di nuovo
giù, altri cinque in linea retta, che si perdono nel nulla. “E’ impossibile non trovare la piazza con il
bar-trattoria”, dice sorridendo Romina Gurioli, presidente
dell’associazione Pro Portonovi’s. “Prima
che la strada faccia una leggera deviazione a sinistra e poi prosegua verso il
Sillaro, ci sbatti contro”. La grande casa dove sorge il bar, con la
trattoria ancora a pieno regime, è quella in cui è nato Giacomo. L’esercizio
era gestito da suo zio, a fianco c’era il negozio di alimentari di papà
Leandro, nell’edificio accanto la latteria della zia. Un mondo piccolo,
guareschiano, da cui Giacomo partì appena dodicenne per andare a frequentare il
collegio San Luigi a Bologna. Senza mai perdere il legame con le radici. Questo
era davvero il porto nascosto, per lui. La pace e il silenzio in cui immergersi
dopo le mille sfide del calcio.
LA TERRA BUONA.
C’è un altro dettaglio che rende unico il paese. I terreni facevano parte della
Partecipanza di Medicina, ma dopo il dissesto economico del 1892 divennero
proprietà di un certo cavalier Benelli, che poi li cedette alla famiglia Tamba.
Nel 1933 arrivarono le assicurazioni Generali di Trieste e acquistarono tutto:
terreni, case antiche e nuove, in un certo senso anche chi ci viveva dentro,
perché la mano d’opera per i lavori nelle immense proprietà veniva scelta sul
posto. Un ambiente di operai.. della terra, in cui la famiglia Bulgarelli
spiccava per quello status di borghesia che può permettere una attività
commerciale ben avviata. Insomma, la famiglia “stava bene”, come si diceva
allora. E Giacomo era uno studente modello, anche se dovette frequentare due
volte la quinta elementare: non perché fosse stato bocciato, ma perché andare
alle medie a Medicina era complicato e ci volle il tempo per organizzargli il
trasferimento al San Luigi. Due anni dopo la sua partenza, tutto il nucleo
familiare prese la strada di Bologna. Compresa Olga, la “dada” di Giacomino,
grande maestra di cucina tradizionale, regina del tortellone, della tagliatella
al ragù di cipolla e del “friggione”, che da queste parti è ancora oggi un
piacere del gusto di cui è difficile privarsi.
MILANISTI MAI. “Giacomo fin da bambino ci sapeva fare, col
pallone”, ricorda Secondo Selva, classe 1936, per quasi vent’anni
presidente della società di calcio di Portonovo, nel cui ambiente gravita
ancora, dopo mezzo secolo. “Qui si usciva da scuola e si andava a
giocare nel campetto dietro la chiesa, per interi pomeriggi. Poi lui finì nella
squadra dei giovani, che qui avevamo ribattezzato “O la va o la spacca”. Beh, a
lui è andata alla grande, niente da dire. Io negli anni ho coltivato una fede milanista:
sa com’è, Giacomo non era ancora il Bulgarelli amato da tutti, e Rivera dettava
legge. Lui non me l’ha perdonata, anche se poi ci è andato vicino, al Milan:
ogni volta che tornava, scherzando, diceva “mè i milanèsta an’ i salùt brisa”,
e ridevamo come matti”.
TESSERATO.
Qui tutto è a due passi. Lo stadio, indicato così anche da un cartello
stradale, è a duecento metri dalla piazza principale, che naturalmente è stata
intestata al campione. Inaugurato nel 1976, ci gioca il Portonovo, oggi
presieduto da Giuseppe Astorino, da sempre nella categoria Amatori. “Gli ho passato il testimone tre anni fa”,
continua Selva, “dopo che io lo avevo
ricevuto da Veliano Brusa, sessanta anni di amore per il nostro calcio. Non
tutti lo sanno, ma a fine carriera Giacomo è stato tesserato per il Portonovo
per almeno tre stagioni. E non solo lui: portò anche Giuseppe Vavassori, il
portiere del Bologna anni Settanta, che però qui non voleva stare tra i pali e
diventò centrocampista”. Su questo campo, Bulgarelli portava anche gli
amici delle amichevoli domenicali: Giorgio Comaschi, Fio Zanotti, Andrea
Mingardi, Jimmy Villotti, e poi Colomba, Pecci, Massimelli. Erano i giorni in
cui Portonovo, la piccola Portonovo, si sentiva al centro del mondo.
VICINO E LONTANO. Per
dire, in quel cinema che è un gioiellino, costruito proprio nel 1933 dopo
l’acquisto delle Generali, in una sera di ottobre del 1976 Sandro Ciotti venne
a presentare in prima assoluta “Il profeta del gol”, il film su Johann Cruijff
di cui era regista. Lo portò Bulgarelli, naturalmente, e con lui Pesaola, tanti
giocatori e tanti giornalisti. Finì tutto con la leggendaria “Rustida a
Newport”, con Ciotti virtuoso della fisarmonica, chili di pesce sulla griglia e
fiumi di buon vino della campagna.
Perché Portonovo è esattamente come la descrive Romina Gurioli: “Un posto al centro del mondo dove c’era
tutto, il pallone, la scuola, il cinema, i negozi. Eppure, anche un posto
lontano da tutto”. Per questo, forse, Giacomino non riusciva a stare
lontano da qui.
Marco Tarozzi