Il velocista bolognese sarà in
gara nei 200 con Tortu e Desalu. Da semiprofessionista.
Scoperto al Cus Bologna,
cresciuto in Virtus, lavora come sviluppatore dati per un’azienda statunitense
e si ritaglia a fatica i tempi per gli allenamenti
di
Marco Tarozzi
Forse
è vero che anche le Olimpiadi stanno cambiando, seguendo un’evoluzione dei
tempi che non sempre è sinonimo di miglioramento. Ma dentro questo
entusiasmante calderone a cinque cerchi si trovano ancora storie che danno
speranza, ricordandoci che lo “spirito olimpico” è ancora acceso, proprio come
la fiamma (elettrica, a proposito di progresso) che arde su quella mongolfiera
nel cielo di Parigi. Una di queste, tra le più belle, è iniziata a Bologna e
racconta del terzo “duecentista” della spedizione dell’atletica azzurra,
partito insieme a Filippo Tortu e Fausto Desalu: Diego Aldo Pettorossi.
SCUOLA
CUS. Figlio d’arte (papà Mario era un talento della pallacanestro), Diego è
nato sotto le due torri il 13 gennaio 1997. Lo sport è sempre stato importante
in casa Pettorossi, ma lui non ha scelto il parquet ma i campi sconnessi e
spesso infangati del rugby, accasandosi al Cus Bologna e affrontando la trafila
delle giovanili. Fino alla scoperta dell’atletica leggera, con immediato
innamoramento, sempre partendo dalla pista di via del Terrapieno. Un talento
precoce: prime gare scolastiche nel 2011, primo tricolore sugli 80 metri,
categoria Cadetti, un anno dopo.
AMERICA.
Da allora, Diego ha seguito un percorso professionale importante: dopo la
maturità scientifica, il trasferimento a Torino per studiare scienze motorie e
un master in amministrazione aziendale conseguito alla Angelo State University
di San Angelo, Texas, quindi un altro in analisi dei dati ottenuto a San
Antonio, che gli ha assicurato un mestiere di sviluppatore dati per
un’importante azienda statunitense. Però non ha mai accantonato l’atletica, né
smarrito passione e voglia di sognare in grande. Come succede a qualunque
atleta non professionista, ci sono stati periodi più difficili e cali di
rendimento, ma dal 2021 anche un salto di qualità che lo ha portato ai vertici
della velocità azzurra.
CRESCITA.
È di quell’annata il primo 200 corso sotto il “muro” dei 21 secondi (20”94 a
Sestriere); nel 2022 arrivano il primo tricolore assoluto sulla distanza, un
oro e un argento ai Giochi del Mediterraneo e un significativo ritocco al
personale (20”54 a Rieti). Dopo un 2023 frenato da problemi fisici, il ritorno
ad alta quota nell’annata olimpica, con la seconda partecipazione agli Europei
e un nuovo limite, 20”45, ottenuto a Poznan, in Polonia.
SELF
MADE MAN. Sono tempi cronometrici di grande valore, ma più di tutto conta il
modo in cui questo ragazzo li ha ottenuti. Da semiprofessionista, appunto,
anche se i carichi di lavoro e l’impegno sono quelli di un atleta di vertice. È
stato lui stesso a raccontare, con serenità, i sacrifici che ha dovuto
affrontare combinando mestiere e allenamenti, soprattutto nel lungo periodo
passato oltreoceano: «Concentrato sul
lavoro dalle sette del mattino alle quattro del pomeriggio, poi andavo ad
allenarmi sulla pista di un liceo, da solo, e a volte restavo al buio a metà
seduta perché spegnevano l’impianto di illuminazione». Con Leonardo Righi,
tecnico modenese che lo segue dal 2020, gli appuntamenti erano lunghe “call” in
orari da licantropi, sempre comunque dopo mezzanotte, per trasmettere dati
raccolti con lo smartwatch o brevi filmati girati da passanti a cui Diego
chiedeva il favore di trasformarsi per qualche minuto in videomakers.
CONQUISTA.
Negli ultimi mesi, il velocista bolognese ha chiesto una lunga aspettativa
all’azienda per concentrarsi sull’obiettivo olimpico. Ha gareggiato nei meeting
europei per accumulare punti per il ranking, e al momento di fare i conti si è
ritrovato in cinquantesima posizione a livello internazionale, e a Parigi erano
ammessi i primi quarantotto. «Non ho
gufato, però in cuor mio ho sperato che almeno due atleti, per chissà quale
motivo, rinunciassero a quello che per chiunque di noi resta un sogno della
vita. Alla fine è successo e ho toccato il cielo con un dito».
RINGRAZIAMENTI.
Ci ha messo tanto del suo, ma sa di dover dire grazie a chi ha creduto in lui.
Certamente a Leonardo Righi, che lo accompagna da tre anni in una crescita
costante che gli ha spianato la strada verso Parigi. Ma anche a Cristian
Cavina, suo primo allenatore, e a un grande ex come Kareem Streete-Thompson,
vicecampione del mondo indoor del salto in lungo nel 2001, che ha creduto in
lui aiutandolo ad avere una borsa di studio e strutture all’avanguardia per gli
allenamenti negli States.
INVENTORE.
Oggi Diego gareggia per la Libertas Livorno, ma non dimentica le origini e le
società bolognesi dove il suo talento è emerso: il Cus Bologna in cui ha
militato all’inizio e la Virtus Atletica per cui è stato tesserato dal 2013 al
2020. A ventisette anni sa di non poter sperare nella chiamata di un gruppo
militare, che in Italia resta la soluzione migliore per chi vuol dedicarsi a
tempo pieno allo sport. Allora si ingegna per rendere tutto più semplice: sta lavorando allo
sviluppo di un’app per facilitare l’allenamento di chi fa atletica leggera, sorta
di diario per registrare dati di allenamento e statistiche, con una piattaforma
per tenere sempre in contatto atleti e allenatori. L’idea è quella di farne
buon uso per programmare il prossimo quadriennio, perché è certo di non aver
potuto ancora esprimere tutto il proprio potenziale. Anche così, comunque, è
arrivato a Parigi 2024.
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Papà
Mario, tricolore con l’Olimpia di Peterson
Forse è anche questione di Dna. O comunque c’entra l’aria che si respira in un ambiente familiare in cui alla pratica sportiva si dà il meritato valore. Mario Pettorossi, padre di Diego Aldo, è stato un talento della pallacanestro. Classe 1966, nato in Costa d’Avorio e adottato da ragazzino da una coppia di Milano, entrò nelle giovanili dell’Olimpia. Potenziale pazzesco, grande attaccante, era nel team guidato da Dan Peterson che conquistò il tricolore nel 1985, ma già sedicenne aveva più volte completato il roster anche nel gruppo scudettato nel 1982. Insomma, aveva accanto campioni come Joe Barry Carrol, Mike D’Antoni, Russ Schoene, Meneghin, Bariviera, Boselli, Gallinari, e i giovani Pittis e Premier. Peterson gli rimproverava certe disattenzioni difensive, ma ha sempre ammesso: «Era chiaro che Mario aveva grande potenziale, un atleta incredibile». Successivamente ha giocato a Porto San Giorgio, ed ha continuato nelle serie minori fino ad oltre quarant’anni: nel 2010 era a Bagnolo di Po, in Prima Divisione. Oggi è responsabile business developement di un’azienda bolognese, e naturalmente primo tifoso di Diego Aldo.
(Più Stadio, luglio 2024)
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