mercoledì 16 giugno 2010

Bisoli, dagli Appennini alla Serie A


Pierpaolo Bisoli, sei anni in panchina per arrivare ai piani alti del calcio. Un record.
«Che dire? Sono orgoglioso. Anche perché di record ne abbiamo fatti un bel po’ anche quest’anno a Cesena. Tanti punti, pochissimi gol subiti, il minor numero di sconfitte. È stata un’impresa, in qualche modo abbiamo scritto una pagina di storia del club».
Bel modo di festeggiare i settant’anni della società.
«Anche per questo credo che in molti si ricorderanno di questa annata».
È stata una promozione atipica, a pensarci. Do Prado, miglior realizzatore, a quota nove. L’avete conquistata con la difesa?
«Il credo è uno solo: tutti attaccanti, tutti difensori. Poi, è vero che quel -29 alla voce “gol subiti” è un numero che non ha eguali in Europa, ne in A nè in B, e mi inorgoglisce. La verità è che il mio Cesena è stato una cooperativa, un gruppo fantastico».
Dentro c’erano giocatori recuperati alla causa. Come Biasi e Lauro, letteralmente rinati dopo la retrocessione del 2008. O come Giaccherini, che prima del suo arrivo era ai margini del gruppo.
«L’allenatore deve avere questa capacità: saper tirare fuori il meglio dai suoi giocatori. Ma non ho mai avuto dubbi che questi ragazzi valessero la categoria in cui giocavano. Ora quella di Giaccherini è una bella favola da raccontare. È sulla bocca di tutti, ha offerte da Samp, Parma e Chievo in Serie A. Ma è stato bravo lui a seguirmi, a lavorare con serietà. Oggi raccoglie i frutti di quel lavoro».
Anche Bisoli è un uomo-mercato.
«A dire il vero finora non ho squadra».
Non ci dica che non la vedremo sulla panchina del Cagliari, l’anno prossimo.
«Sono sincero, non ho segreti: ho agganci, stiamo trattando e la prossima settimana, o forse all’inizio di quella successiva, dovrei vedermi col presidente. Ma al momento sono fuori dai giochi».
Non penserà di restarci.
«Il calcio è strano, può dare e togliere da un giorno all’altro».
Perché ha detto basta al Cesena, dove oggi le farebbero un monumento equestre?
«Perché dopo due promozioni consecutive era come se si fosse chiuso un ciclo. Avevo paura di rovinare lo splendido rapporto che si è creato con la gente. Con la società, con i tifosi. Non dimenticherò mai queste due stagioni e queste persone».
Anche Cagliari è un posto del cuore, per lei.
«Ci ho giocato sette anni, e sono state le mie stagioni migliori da giocatore. Ci sono nati i miei figli. È una delle mie “case”. Ma anche lì, se quello sarà l’approdo, dovrò ripartire da zero. Questo mestiere è una conquista quotidiana».
Torniamo al Cesena e ai suoi primati davvero speciali. Uno ci ha colpito: una sola espulsione in tutta la stagione.
«E per doppia ammonizione, la seconda rimediata perché il giocatore tardava a effettuare il fallo laterale. Anche questo è un fiore all’occhiello della mia squadra. Abbiamo sempre avuto rispetto di chi avevamo di fronte, nonostante ci giocassimo una posta altissima, nonostante si sia rimasti in zona promozione praticamente da metà settembre alla fine. Abbiamo sempre mostrato equilibrio, in campo. Quell’equilibrio che alla fine ci ha premiati, portandoci al traguardo della Serie A».
Cosa resta del Pierpaolo Bisoli che chiudeva la carriera da giocatore nella sua Porretta, preparandosi a fare il salto dal campo alla panchina?
«Tutto. Io sono lo stesso di allora. E in fondo sembra passato tanto tempo, ma è storia dell’altro ieri. L’importante è non sentirsi mai arrivati, continuare a mettersi in dubbio ogni volta che si va in mezzo ai ragazzi, essere sempre a loro disposizione. Io ero così da giocatore, non sono cambiato».
Pochi semplici precetti per costruire una carriera brillante.
«Ma sono solo all’inizio. Però di una cosa vado fiero. Non ho preso scorciatoie, quello che ho me lo sono guadagnato con le mie forze. Posso guardarmi allo specchio a testa alta. Dentro ci vedo uno che fa il suo lavoro con passione. Una persona leale>.

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