venerdì 4 giugno 2010

Torna Danilovic: "Per Binelli e per Bologna"


Predrag Danilovic, allora è ufficiale: la rivedremo in campo per la partita d’addio di Gus Binelli.
«Proprio ufficiale no, perché quando dai certezze poi arriva l’imprevisto che ti blocca. Diciamo così: devo esserci, farò di tutto per esserci».
Ci mancherebbe: quando parla degli amici coltivati tra i canestri, Gus la mette sempre in prima fila.
«È un amico carissimo. Finalmente si fa questa partita d’addio, e se mancassi non me lo perdonerei».
Ci spieghi quel “finalmente”. Il senso sarebbe “Caro Gus, era ora che ti ritirassi...”?
«No, no, non cominciate a fraintendere... Voglio dire, ci voleva un’ultima passerella per un campione come lui. Anche se in effetti, adesso che mi ci fate pensare... Quanti anni ha messo insieme, Gus?»
A settembre saranno quarantasei...
«Allora sì, avete ragione. Era proprio ora... Scherzi a parte, Augusto ha una passione e un entusiasmo per il basket che non mi stupisce sia rimasto in campo così a lungo. Ognuno fa le sue scelte, ma in un modo o nell’altro siamo ancora tutti qui a respirare questo ambiente».
Lui si sta preparando per il dopo. Vuole allenare, e già lo fa con i più giovani.
«È il maestro ideale. Ha l’esperienza di una vita tra i canestri, i ragazzi faranno bene ad ascoltarlo».
Quanto a gruppi giovani, voi del Partizan non avete nulla da imparare.
«Le nostre scelte sono queste, e non da ieri».
Pagano, evidentemente. Uscite da una stagione fantastica.
«Sì. Lega Adriatica, coppa nazionale, Final Four d’Eurolega. È stato un anno felice. Ma dietro c’è qualcosa di solido, sono tre anni che stiamo facendo le cose per bene».
C’è la crisi, ma è come se non la sentiste.
«La realtà è che noi ci viviamo immersi da vent’anni. In questo senso, i problemi che in altre nazioni oggi sembrano enormi li sentiamo meno. Abbiamo il nostro sistema. I ragazzi ci credono, sanno che grazie all’esperienza al Partizan avranno buone chances, troveranno sbocchi, contratti interessanti. Noi siamo la loro vetrina».
Attrezzati contro la mancanza di soldi e di idee...
«Proviamo a essere creativi. E comunque, i problemi non sono certo un’esclusiva del campionato italiano. Tranne in Spagna, anche altrove la crisi si sente. E non sempre escono fuori supertalenti in grado di risolverti le cose. Bisogna lavorare, aspettare che i giovani sboccino, avere pazienza. In campionati come quello spagnolo o quello italiano non è semplice. Si spende molto e ci si aspetta subito qualcosa. Noi, in questo senso, stiamo più comodi»
Sta seguendo il campionato italiano? Siena ha un vantaggio ancora siderale sul gruppo. Eppure in Europa non arriva dove arrivate voi.
«Bisogna mettersi d’accordo su quello che ci si aspetta. Se si vuol costruire un gruppo dalle basi, serve tempo. Il nostro sistema, l’ho detto, si basa sulla pazienza. Tutta la società sta con Vujosevic, anche se si perdono tre partite in fila. Non sono scelte facili, soprattutto in realtà come quella italiana».
Ha seguito il campionato della Virtus?
«Non più di tanto, se devo essere sincero. E non me la sentirei di fare commenti sulla sua stagione. Sarebbero fuori luogo, certamente inesatti».
La Fortitudo che si batte in A Dilettanti che effetto le fa?
«Sono sincero: mi dispiace. Io non so nei dettagli quello che è successo, ma vedo Bologna, che per me resta un posto sacro del basket, senza una delle sue due squadre storiche ad alto livello. E Bologna due squadre in A deve averle, punto e basta. Poi, un anno si può arrivare in alto, un altro si può faticare di più. Ma alla vostra città non si può togliere il gusto del derby».
Se li ricorda, i suoi?
«Tutto, anche se guardo avanti la memoria non mi difetta».
L’emozione più grande della sua vita in bianconero?
«Tutte quelle in cui abbiamo vinto qualcosa. Dall’Eurolega alla Coppa Italia, passando dagli scudetti. Non c’è una graduatoria dei trionfi. Una vittoria te la sudi sempre».
E una sconfitta lascia ferite?
«Le partite si vincono e si perdono. Ma nella vita le ferite sono altre. Ci sono le emozioni, le passioni, questo sì. Ma bisogna imparare a gestirle, trovare un equilibrio».
Tornerà in campo al PalaDozza, ci pensa?
«Mi farà effetto, sicuro. Non è come per Gus, io ho giocato tanto sia lì che al PalaMalaguti. Sono posti del cuore. Tornare a Bologna è sempre bello».
Lo fa spesso, sappiamo.
«Sicuro, ogni volta che posso».
Più di quanto non faccia a Miami o Dallas...
«Certo, ci mancherebbe. Anche perché è molto più vicina...»

L'Informazione di Bologna, 2 giugno 2010

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