martedì 22 giugno 2010

Bonatti, ottant'anni a testa alta


Walter Bonatti ha ottant’anni. La sua vita è stata un viaggio avventuroso fatto di coerenza, di scelte a schiena dritta, guardando in faccia chi spesso è stato costretto ad abbassare lo sguardo, incontrandolo.
Walter Bonatti è un italiano atipico, ed è l’italiano che ognuno dovrebbe essere. Ragazzo ai tempi dolorosi della guerra, ha colorato i suoi sogni sulla sponda del Po, guardando al fiume come fosse l’oceano. E guardando oltre, sempre.
Per quindici anni ha scritto pagine leggendarie dell’alpinismo. E nel dramma si è fortificato. Nel 1954, a ventiquattro anni non ancora compiuti, fu scelto per la grande corsa italiana alla vetta del K2 da Ardito Desio. E in quella che è passata alla storia come la più grande impresa alpinistica della nostra storia, visse una delle esperienze più drammatiche. Fu lui, insieme allo sherpa Mahdi, a mettere le fondamenta del “grande trionfo italiano”; insieme rischiarono la vita in un drammatico bivacco oltre quota ottomila. Senza ossigeno, senza riparo, con le attrezzature, modeste, di quei tempi. Quelli che stavano pochi metri più su, i futuri conquistatori del K2, non erano al posto prestabilito quando Bonatti arrivò, carico di quell’energia che più nessuno in quella spedizione aveva, per consegnare loro le bombole necessarie all’ultimo assalto. Grazie a quell’ossigeno, Compagnoni e Lacedelli fecero l’impresa.
Bonatti soffrì per quel ricordo feroce, ma rimase in silenzio dieci lunghi anni. Diventò diffidente, si fece, come si dice, “la scorza”, preferì sempre, da allora, le imprese in solitaria, o con pochi amici fidati. E dieci anni dopo, quando quel suo altruismo fu venduto come pressapochismo e arroganza, iniziò la sua battaglia per ristabilire la verità. Non ha fatto polemiche, nel raddrizzare questa storia che era stata scritta al contrario. Non ha cercato gloria. Quella l’aveva già trovata con le sue imprese. Prima, durante e dopo. Molte delle quali irripetibili, tutte scritte nel grande libro dell’alpinismo.
C’è voluto tempo. Tanto, troppo. Più di mezzo secolo. Del resto, quella di Desio era l’impresa di una nazione che usciva a pezzi dalla guerra, che aveva bisogno di eroi. Sgretolare il muro non è stato facile. Ci voleva uno come Bonatti. Uno che non si è mai arreso, ingigantito dalle voci contro e dalle avversità.
Chiuse il periodo delle grandi imprese con la diretta invernale, in solitaria, sulla parete Nord del Cervino. E quindici anni dopo chiuse il rapporto con Epoca, per cui era stato pioniere del reportage “in terre lontane”, perché la direttrice appena arrivata voleva imporgli tempi e modi di qualcosa che era e poteva essere soltanto suo. “Non avevo un altro lavoro, ma non potevo fare diversamente”.
No, davvero non poteva, Walter Bonatti. Non era così che aveva impostato la sua vita. Una vita che a ottant’anni ancora brilla, rivolta verso il domani, ed è una lezione che andrebbe ascoltata. Niente scorciatoie, per arrivare all’obiettivo. Niente compromessi. La forza e la consapevolezza del talento, coltivato senza alzare la voce. Non sono scelte semplici, e infatti Walter Bonatti le ha spesso pagate. Ma oggi è nella storia con le sue mani, con la sua faccia pulita, con la sua creatività e con le avventure che ci ha regalato, aprendoci la mente.
Sono ottant’anni da applausi. L’avventura di un grande uomo.

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