mercoledì 25 gennaio 2012

ENZO MAIORCA: PROFONDAMENTE UOMO


di Marco Tarozzi

“Nello zaino di un uomo normale ci sono coraggio e paura. Chi non ha coraggio è vigliacco, chi non ha paura è un pazzo. La paura è un campanello d’allarme che in me è scattato tante volte, dandomi la forza di tornare su, verso il sole”.
Enzo Maiorca veste con leggerezza le sue ottanta primavere. Le ha vissute in mare, diventando leggenda. Il signore degli abissi che non ha mai dimenticato gli inizi della sua avventura affascinante. “Abitavo a dieci metri dalla riva, sotto casa c’era una vaschetta naturale tra gli scogli. Era bellissima, mi sembrava scavata dal sole. E’ lì che ho imparato a fare amicizia con l’acqua, ad averne rispetto. E a capire che il mare è rimasto l’ultima barriera del sentimento, della poesia. Nessuno può dire di conoscerlo davvero. Un fondale cambia anche con le condizioni del cielo: basta una nuvola per rivoluzionare le cose là sotto, per farti perdere i riferimenti. Diffido di chi si sente troppo sicuro di sé, sott’acqua. Un vecchio detto marinaio dice: il mare spacca le teste più dure. E’ vero: lui è sempre diverso, e questa è la sua forza, la sua bellezza”.
L’epopea del re degli abissi cominciò per spirito d’emulazione. Leggendo sul giornale le gesta di Falco e Novelli, due napoletani che nel ’56 avevano stabilito il primato d’immersione in apnea. “Erano scesi a 41 metri. Pensai che avrei potuto provarci anch’io e lo feci. All’inizio fu puro spirito agonistico”.
Poi vennero i grandi avversari. Il brasiliano Santarelli, il francese Mayol. “Jacques è stato il più tenace. Abbiamo avuto anche contrasti, perché il nostro approccio era diverso. Lui sceglieva meditazione e yoga per liberarsi dai timori, io ero convinto che un uomo deve andare a mare con tutte le sue paure. Se ne è andato troppo presto, tragicamente. Gli è mancato qualcuno che lo aiutasse nel momento della solitudine più profonda”.
Quasi vent’anni di primati, alla ricerca del limite. Poi l’addio, improvviso e inatteso. E un ritorno altrettanto clamoroso alla fine degli anni Ottanta. Col record a -101 metri stabilito a 57 anni. “Smisi nel ’74, a Sorrento, il giorno in cui il povero Enzo Bottesini mi intralciò durante un tentativo di record a 90 metri. Mi arrabbiai con lui, che era un amico e lo rimase anche dopo. Tra di noi il problema finì lì, ma quella storia ebbe un’immensa cassa di risonanza, creò problemi a entrambi. Vidi il carrozzone che si stava formando intorno a quei tentativi e mi resi conto che non era più la mia vita. A metà degli anni Ottanta, Patrizia e Rossana, le mie figlie, mi dissero: papà, tu ti sei stufato di andare in profondità, ma a noi piace. O vieni con noi o andiamo da sole. Le seguii, e di lì a poco mi ritrovai a inseguire un nuovo primato”. Fu l’ultima grande prova d’autore. Poi re Enzo decise che era davvero arrivato il momento di ritrovare il contatto col suo mare senza filtri, né troppi testimoni intorno. Non ha lasciato eredi perché “una scuola subacquea ad alta profondità devi seguirla in prima persona. Avrei dovuto sottrarre tempo al “mio” mare, quello a cui mi accosto intimamente”.Le sue battaglie, da tempo, sono altre. Quelle per l’ambiente. Per salvaguardare quel mare che lo ha ispirato, e che oggi vede sempre più soffocato dalla miopia di chi lo sfrutta per interesse. “Anni fa provai a portare la mia voce anche in Parlamento, ma è stata un’esperienza fallimentare perché mi sembrava di parlare ai sordi. Però mi batto ancora. Sono vicepresidente della commissione extraparlamentare per l’ambiente. Credo ancora nella necessità sentimentale del mare, che deve essere accettato e difeso per quello che è, non perché ci garantisca sopravvivenza. Ho i miei “pallini”, diciamo così. Per esempio, non credo nella necessità del ponte sullo stretto di Messina. Un’opera che avrebbe grande rilievo mondiale, porterebbe luce al “treno Italia”, ma in quella zona bisogna concentrarsi sul fatto che solo il 20% delle case, su una costa e sull’altra, sono costruite con criteri antisismici. E guardo con orrore alla cementificazione della costa intorno alla mia Siracusa. Le ciminiere e le fabbriche hanno distrutto da anni la zona a Nord della città, una costruzione selvaggia senza sovrastrutture come reti fognarie e depuratori. Ora è partito l’attacco alla costa Sud, un gioiello, dove c’è l’area marina protetta del Plemmirio. Un’assurdità”.
Quasi ottant’anni in acqua, ma in mezzo a tutti quei record il ricordo più nitido è puro romanticismo. “La sera di luna piena in cui portai mia moglie Maria a 25 metri di profondità. Risalendo verso la superficie, abbiamo visto quella luna rifrangersi nell’acqua in decine di lune. Un momento indimenticabile”.

ENZO MAIORCA
è nato a Siracusa il 2 giugno 1931, e ha imparato a nuotare a quattro anni. Nel 1960 ha conquistato il primo primato di profondità in apnea, a quota -45 in assetto variabile. L’inizio di una grande epopea che lo ha visto in scena per sedici anni, fino al -87 in variabile ottenuto nel ’74 e al -60 in assetto costante del ’76. Poi il grande ritorno negli anni 80, toccando quota -101 in variabile nel 1988. Nel giugno del ’93 è stato protagonista del ritrovamento del sommergibile “Sebastiano Veniero”, scomparso quasi settant’anni prima al largo di Capo Passero. Da anni conduce grandi battaglie ambientalistiche che gli sono valse la medaglia d’oro al merito della Marina. Ha ricevuto anche la Stella d’Oro al merito sportivo del Coni e ha vinto il premio letterario Coni col libro “A capofitto nel turchino”. Anche le sue figlie, Patrizia e Rossana (scomparsa nel 2005 a soli 44 anni) sono state campionesse di apnea. E’ sposato con Maria Gibino. Per i suoi ottant’anni si è “regalato” la riedizione di un affascinante romanzo autobiografico, “Sotto il segno di Tanit”, edito da Mursia.

Ambiente, n. 3/2011

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