ERALDO, MOLTO PIU' CHE ESTROSO...
I 65 anni di un campione che è una miniera di aneddoti, e
che su talento e arguzia ha costruito anche la vita dopo il calcio
di Marco Tarozzi
A Bologna era arrivato dal Superga 63, società di
Cattolica, e pensandoci dopo diventa facile dire che probabilmente era un
predestinato, e che il suo approdo dovesse essere il Torino. Invece non filò
tutto così liscio. Perché Eraldo Pecci,
che poi del Toro e della sua gente si sarebbe innamorato, considerava il
Bologna come il porto del cuore, e mai e poi mai se ne sarebbe andato da qui ad
appena vent’anni. Soprattutto dopo una stagione in cui aveva dimostrato di
poter stare comodamente nel magico mondo della Serie A.
Invece andò esattamente così nell’estate del 1975, calda per il mercato
rossoblù più per i clamorosi movimenti in uscita che per gli arrivi. Aveva
iniziato dando speranza ai tifosi, il presidente Conti. Pescando, per esempio,
il miglior prospetto d’attacco della Serie B, Ezio Bertuzzo. Ma mentre si
cominciava a ragionare su quello che la coppia Savoldi-Bertuzzo avrebbe potuto
produrre, ecco la mazzata: addio a Beppegol, destinato al Napoli in cerca del
bomber di razza per dare l’assalto allo scudetto, e addio anche al giovane
Eraldo, che dopo una stagione da 24 presenze, quasi tutte convincenti, aveva destato
l’interesse del Torino.
IL
TORO PER LE CORNA - Il fatto è che nessuno si era preso la
briga di avvisare il ragazzo, tornato da una trasferta in Canada con la
Nazionale militare. E la notizia del trasferimento arrivò in modo decisamente
originale, per usare un eufemismo. Lui, che con le parole sa giocare molto
bene, l’ha raccontata così.
“Torno a casa e mi precipito direttamente a Viserba, dove la mia fidanzata
dell’epoca era in vacanza con la famiglia. Punto dritto al Pussycat, dove
sapevo che era andata a passare la serata con un’amica. Parcheggio la mia 125
testa di moro e mentre mi incammino a piedi verso la sala da una finestra sento
gracchiare un televisore. C’è il notiziario sportivo. Mi arriva, secca, la
notizia: “il Bologna ha ceduto Savoldi al Napoli per la cifra record di due
miliardi. Pecci va al Torino, Ghetti e Landini all’Ascoli”. Nessuno mi aveva
cercato per avvertirmi. Arrivo alla discoteca, entro e vedo la mia ragazza
insieme alla sua amica. Ma c’è anche un amico. Più di un amico, visto quanto
erano in confidenza. Lei mi vede e mi fa: "Sei tornato?” “Sì, volevo farti
una sorpresa”. “Proprio stasera?”. Esco dal locale, penso che è proprio una
vita cambiata, senza fidanzata e in una nuova squadra. Mentre parto con la mia
125, rifletto: al Toro saranno orgogliosi, sono dei loro da poche ore e ho già
le corna…”
FACCIA
DI TOLLA - Era questo, Eraldo Pecci. E il bello è che non è
cambiato di una virgola. Sempre ragazzino dentro, sempre con addosso il gusto
della battuta, del colpo a sorpresa. E guai a pensare che da giovane il timore
reverenziale lo frenasse. Chiedere a chi fu testimone di uno dei primi incontri
con Bulgarelli. Da una parte un diciassettenne di talento appena arrivato da
una società di Cattolica, dall’altra uno dei più grandi campioni del calcio
italiano, che tra l’altro di Bologna era l’imperatore.
Bulgaro steso sul lettino del massaggiatore, e a quest’ultimo il ragazzo si
rivolse con una bella faccia di tolla: “Vacci piano con quello, è vecchio e
potrebbe rompersi… nel caso, ci sono qui io”. Dicono che l’Onorevole Giacomino
non l’avesse presa benissimo, ma poi i due ci misero un attimo a diventare
amici.
LA
FILOSOFIA DEL PETISSO - Normale trovare l’armonia, tra uomini di
grande spessore umano e culturale. Di più: fu Giacomino, in fondo a una
carriera sapientemente allungata sposando il ruolo di libero, a vedere in Pecci
le caratteristiche dell’erede designato. Ma, appunto, l’estate movimentata del
presidente Conti avrebbe tolto ai bolognesi la soddisfazione di veder crescere
in rossoblù un nuovo campione che al Bologna voleva e vuole sempre bene.
“Non ero contento di andarmene a Torino. Ormai avevo fatto
amicizia con tutti, per me che venivo dalla Romagna giocare nel Bologna era la
soluzione perfetta, mi piaceva la squadra, la sua storia, la gente. E mi
piaceva Bruno Pesaola. Che personaggio, il Petisso. Ogni tanto, quando mi
richiamava in campo, gli dicevo: mister, lei deve capirmi, io sono un estroso.
Lui non faceva una piega e ribatteva: “Pecci, lei non è un estroso, è un
estronso”… Un giorno dovevamo giocare contro l’Inter, e lui mi mise a marcare
Mario Corso, spiegandomela così: “Lei gli sta attaccato, così se lui non tocca
mai palla e nemmeno lei, ci guadagniamo tutti. Soprattutto ci guadagniamo noi”.
TORNANDO
A CASA – A Torino l’Eraldo vinse subito uno storico scudetto, e
ne sfiorò un altro con la Fiorentina nel 1981-82, prima di passare al Napoli di
Maradona. Per poi tornare al Bologna a trentun’anni, nell’86, per riportarlo ai
piani alti del calcio. Chioccia di un gruppo nel quale si muoveva poco (“Non
che lo facessi poi tanto di più, prima”) ma che illuminava con intelligenza
rara. Un anno così così, chiuso in crescendo grazie alla saggezza e agli
stimoli di una persona fantastica come Gibì Fabbri, poi la risalita con
Maifredi e finalmente di nuovo un campionato in Serie A, nel 1988-89.
In rossoblù, alla fine, 162 presenze (in due fasi) di cui 135 in campionato e
68 in Serie A, e 7 reti in totale.
SCRIVERE COL CUORE – Un’altra parentesi a Bologna, nel drammatico
salvataggio di Gazzoni del 1993, quando il tribunale lo aveva nominato perito
per la valutazione del patrimonio tecnico rossoblù. Ma soprattutto l’altra
vita, sempre creativa: commentatore televisivo mai banale, infine scrittore
arguto e piacevolissimo. Con tutte le particolarità di essere Eraldo. “Qualche
tempo fa, dopo ore di lavoro non trovavo più il tasto delle virgolette. Per quanto
mi ci fissassi, non saltava fuori. Coì ho telefonato a mio figlio. Papà, mi ha
risposto, e le cerchi alle tre di notte le virgolette?”
Eraldo Pecci festeggia sessantacinque primavere. Dicono sia un’età da pensione.
Ma chi lo dice non conosce uno così.
Più Stadio, 12 aprile 2020
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