martedì 14 aprile 2020

ERALDO, MOLTO PIU' CHE ESTROSO...



I 65 anni di un campione che è una miniera di aneddoti, e che su talento e arguzia ha costruito anche la vita dopo il calcio

di Marco Tarozzi

A Bologna era arrivato dal Superga 63, società di Cattolica, e pensandoci dopo diventa facile dire che probabilmente era un predestinato, e che il suo approdo dovesse essere il Torino. Invece non filò tutto così liscio. Perché Eraldo Pecci, che poi del Toro e della sua gente si sarebbe innamorato, considerava il Bologna come il porto del cuore, e mai e poi mai se ne sarebbe andato da qui ad appena vent’anni. Soprattutto dopo una stagione in cui aveva dimostrato di poter stare comodamente nel magico mondo della Serie A.
Invece andò esattamente così nell’estate del 1975, calda per il mercato rossoblù più per i clamorosi movimenti in uscita che per gli arrivi. Aveva iniziato dando speranza ai tifosi, il presidente Conti. Pescando, per esempio, il miglior prospetto d’attacco della Serie B, Ezio Bertuzzo. Ma mentre si cominciava a ragionare su quello che la coppia Savoldi-Bertuzzo avrebbe potuto produrre, ecco la mazzata: addio a Beppegol, destinato al Napoli in cerca del bomber di razza per dare l’assalto allo scudetto, e addio anche al giovane Eraldo, che dopo una stagione da 24 presenze, quasi tutte convincenti, aveva destato l’interesse del Torino.



IL TORO PER LE CORNA - Il fatto è che nessuno si era preso la briga di avvisare il ragazzo, tornato da una trasferta in Canada con la Nazionale militare. E la notizia del trasferimento arrivò in modo decisamente originale, per usare un eufemismo. Lui, che con le parole sa giocare molto bene, l’ha raccontata così.
“Torno a casa e mi precipito direttamente a Viserba, dove la mia fidanzata dell’epoca era in vacanza con la famiglia. Punto dritto al Pussycat, dove sapevo che era andata a passare la serata con un’amica. Parcheggio la mia 125 testa di moro e mentre mi incammino a piedi verso la sala da una finestra sento gracchiare un televisore. C’è il notiziario sportivo. Mi arriva, secca, la notizia: “il Bologna ha ceduto Savoldi al Napoli per la cifra record di due miliardi. Pecci va al Torino, Ghetti e Landini all’Ascoli”. Nessuno mi aveva cercato per avvertirmi. Arrivo alla discoteca, entro e vedo la mia ragazza insieme alla sua amica. Ma c’è anche un amico. Più di un amico, visto quanto erano in confidenza. Lei mi vede e mi fa: "Sei tornato?” “Sì, volevo farti una sorpresa”. “Proprio stasera?”. Esco dal locale, penso che è proprio una vita cambiata, senza fidanzata e in una nuova squadra. Mentre parto con la mia 125, rifletto: al Toro saranno orgogliosi, sono dei loro da poche ore e ho già le corna…”






FACCIA DI TOLLA - Era questo, Eraldo Pecci. E il bello è che non è cambiato di una virgola. Sempre ragazzino dentro, sempre con addosso il gusto della battuta, del colpo a sorpresa. E guai a pensare che da giovane il timore reverenziale lo frenasse. Chiedere a chi fu testimone di uno dei primi incontri con Bulgarelli. Da una parte un diciassettenne di talento appena arrivato da una società di Cattolica, dall’altra uno dei più grandi campioni del calcio italiano, che tra l’altro di Bologna era l’imperatore.
Bulgaro steso sul lettino del massaggiatore, e a quest’ultimo il ragazzo si rivolse con una bella faccia di tolla: “Vacci piano con quello, è vecchio e potrebbe rompersi… nel caso, ci sono qui io”. Dicono che l’Onorevole Giacomino non l’avesse presa benissimo, ma poi i due ci misero un attimo a diventare amici.



LA FILOSOFIA DEL PETISSO - Normale trovare l’armonia, tra uomini di grande spessore umano e culturale. Di più: fu Giacomino, in fondo a una carriera sapientemente allungata sposando il ruolo di libero, a vedere in Pecci le caratteristiche dell’erede designato. Ma, appunto, l’estate movimentata del presidente Conti avrebbe tolto ai bolognesi la soddisfazione di veder crescere in rossoblù un nuovo campione che al Bologna voleva e vuole sempre bene.
“Non ero contento di andarmene a Torino. Ormai avevo fatto amicizia con tutti, per me che venivo dalla Romagna giocare nel Bologna era la soluzione perfetta, mi piaceva la squadra, la sua storia, la gente. E mi piaceva Bruno Pesaola. Che personaggio, il Petisso. Ogni tanto, quando mi richiamava in campo, gli dicevo: mister, lei deve capirmi, io sono un estroso. Lui non faceva una piega e ribatteva: “Pecci, lei non è un estroso, è un estronso”… Un giorno dovevamo giocare contro l’Inter, e lui mi mise a marcare Mario Corso, spiegandomela così: “Lei gli sta attaccato, così se lui non tocca mai palla e nemmeno lei, ci guadagniamo tutti. Soprattutto ci guadagniamo noi”.





TORNANDO A CASA – A Torino l’Eraldo vinse subito uno storico scudetto, e ne sfiorò un altro con la Fiorentina nel 1981-82, prima di passare al Napoli di Maradona. Per poi tornare al Bologna a trentun’anni, nell’86, per riportarlo ai piani alti del calcio. Chioccia di un gruppo nel quale si muoveva poco (“Non che lo facessi poi tanto di più, prima”) ma che illuminava con intelligenza rara. Un anno così così, chiuso in crescendo grazie alla saggezza e agli stimoli di una persona fantastica come Gibì Fabbri, poi la risalita con Maifredi e finalmente di nuovo un campionato in Serie A, nel 1988-89.
In rossoblù, alla fine, 162 presenze (in due fasi) di cui 135 in campionato e 68 in Serie A, e 7 reti in totale.



SCRIVERE COL CUORE – Un’altra parentesi a Bologna, nel drammatico salvataggio di Gazzoni del 1993, quando il tribunale lo aveva nominato perito per la valutazione del patrimonio tecnico rossoblù. Ma soprattutto l’altra vita, sempre creativa: commentatore televisivo mai banale, infine scrittore arguto e piacevolissimo. Con tutte le particolarità di essere Eraldo. “Qualche tempo fa, dopo ore di lavoro non trovavo più il tasto delle virgolette. Per quanto mi ci fissassi, non saltava fuori. Coì ho telefonato a mio figlio. Papà, mi ha risposto, e le cerchi alle tre di notte le virgolette?”
Eraldo Pecci festeggia sessantacinque primavere. Dicono sia un’età da pensione. Ma chi lo dice non conosce uno così.



Più Stadio, 12 aprile 2020









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