mercoledì 26 gennaio 2011

Basile, compleanno con malinconia


di Marco Tarozzi

Gianluca Basile, è dura augurarle buon compleanno, in un periodo come questo.
«È il peggiore di tutti. Già l’operazione al piede, nel novembre scorso, mi aveva spiazzato. Non ero mai finito sotto i ferri prima. Ora è successo di nuovo, mentre mi allenavo con i giovani. Uno dei primi allenamenti dopo la ripresa, nemmeno durissimo. Tutto da capo. Non pensavo che avrei dovuto subìre un nuovo intervento. Quando me l’hanno detto, è stata una mazzata».
Nuova frattura, nello stesso punto. Sfortuna massima.
«Mi dicono che ci sono pochi casi del genere. Ho parlato con Recalcati, mi ha spiegato che è successo qualcosa di simile anche a Ranniko. Ma è una consolazione da poco: resta una mazzata che fai fatica ad accettare. Dopo tutti i sacrifici che ho fatto per tornare quello di prima, ci sono dentro esattamente come due mesi fa».
Con il rischio di aver chiuso la stagione.
«I tempi sono gli stessi. Tre mesi per rivedere il campo. Potrei farcela per la Final Four d’Eurolega, se riuscissimo a conquistarla. Ma parliamoci chiaro: in squadra siamo quattordici, è difficile pensare che il coach si affidi proprio in quell’occasione a uno che è fuori da mesi per infortunio».
Che cosa sta pensando, in questi giorni?
«Che il tempo passa, che gli anni sono trentasei, e che devo stare a guardare. È tutto molto triste».
Un leone ferito, ma abituato a combattere.
«E infatti ora penso a guarire bene. Ma certi pensieri cupi arrivano: non ero mai stato operato in carriera, non ero mai rimasto fuori così a lungo. Col Barcellona rinnovo il contratto di anno in anno, ci sta che la prossima estate mi dicano che non hanno più bisogno di me. E c’è di peggio...»
Parliamone, così la parte più brutta della storia la lasciamo alle spalle...
«C’è che se una cosa del genere dovesse capitare un’altra volta, significherebbe carriera finita».
Insisistiamo: non immaginiamo un Basile arrendevole.
«Il lato positivo è che a trentasei anni sono qui. Un giocatore del Barça. Sto bene, ho il ricordo di una Supercoppa giocata bene, appena quattro mesi fa. So di poter valere ancora questo basket, se sto bene. Non mi sento a fine corsa. Ma mantenere questi livelli è dura, e questo stop non mi aiuta a guardare avanti con serenità».
Pensi a Bologna, allora. Un posto dove in molti non la dimenticano.
«Ed è un pensiero che mi aiuta. Se non dovesse andar bene potrei pensare di rientrare in Italia. Negli anni scorsi mi hanno anche cercato, ma il Barcellona continuava a rinnovarmi il contratto. Se una società come questa ti dà fiducia, lasciarsela alle spalle è difficile».
Basketcity vive di ricordi. Ci butta un occhio, di tanto in tanto?
«Seguo il campionato, ma ammetto che l’interesse da quando la Fortitudo non è più ad alta quota è meno intenso. È un’assenza che si sente. Sono contento che lo spirito e l’idea non siano andate perdute, ma il cammino per tornare lassù mi sembra lungo».
E il campionato in generale? Che pensa del ritorno in panchina di Peterson?
«Quando me l’hanno detto ne sono stato felice. Io il suo periodo da coach non l’ho vissuto, ma attraverso le sue telecronache mi sono innamorato del basket Nba, ai tempi delle sfide tra Magic e Jordan. È stato una guida, per me. E oggi è un esempio per tanti: vive ancora la panchina come se avesse vent’anni».
Mille voci dicono di Messina a Milano dalla prossima stagione. Sarà l’anno dei ritorni, il prossimo?
«Ettore è un grande tecnico. Ma chiunque tornasse, si chiami Messina, Basile o che altro, non cambierebbe il livello del campionato italiano. Sarebbe una cosa nuova all’inizio, questo sì».
E quel livello com’è?
«Le piccole si avvicinano alle grandi, ma Siena resta lassù. E cresce. Ha chances di entrare nella Final Four, e vedendola giocare un paio di mesi fa non avrei detto la stessa cosa. Per il resto, aspetto di vedere se Peterson saprà dare la scossa giusta a Milano».

L'Informazione di Bologna, 24 gennaio 2011

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