lunedì 3 gennaio 2011

Kociss e quegli anni "on the road"


È in uscita il romanzo autobiografico di John Fultz, icona Virtus
La Bologna anni ‘70 tra basket, musica, amori e cultura hippie


di Marco Tarozzi

Framingham, Massachusets, è la città che ha dato i natali a John Leslie Fultz. Dista appena tre quarti d’ora di auto da Lowell, dove nacque un altro bostoniano illustre, il mitico Jack Kerouac. Si spiega forse anche così il fatto che “Kociss”, icona del basket che rinasceva a Bologna nei primi anni Settanta, avesse nelle corde una sorta di “On the Road” padano, ambientato proprio intorno a quel mondo di canestri e di americani che hanno fatto sognare danzando sui nostri parquet.
Fultz lo aveva nel cassetto da tempo, questo libro. E ora, finalmente, potrà mostrarlo al popolo del basket, che a Bologna non lo ha certo dimenticato. Anche se non si tratta di un libro sullo sport. Parla anche di pallacanestro, ma è soprattutto una storia sociale, il racconto di un’epoca, i primi anni Settanta, vissuti in Italia, tra Varese e Bologna (soprattutto Bologna) e visti con gli occhi di un ragazzo americano piombato nel nostro paese dopo essere arrivato a un passo dal grande sogno. Che per un giocatore di basket è sempre quello: calcare i campi della Nba.
John fu soltanto sfiorato da quel destino possibile. Sfiorato davvero. Ma quando Red Shaus gli offrì il minimo contrattuale senza garanzie, seppure con la gloriosa canotta dei Lakers, ringraziò e prese la strada dell’Italia.
La sua storia italiana passa da Varese, e da una Coppa dei Campioni sfiorata da straniero extracampionato, e da Bologna, dove diventò una colonna della Virtus di Porelli ma si aprì anche a un’altra vita, legandosi agli studenti universitari arrivati in città dagli States, scoprendo i capelli lunghi grazie ai quali si guadagnò l’appellativo di Kociss («mio padre diceva sempre che mia nonna aveva origini indiane, dunque mi sembrò appropriato»). E sposando ideali di pacifismo, di libertà di pensiero e di azione. Accogliendo nella sua casa, con la generosità di quegli ideali, ragazzi e ragazze spesso attirati soprattutto dalla sua notorietà. Una vita quasi “on the road”, senza però mai dimenticare gli impegni sul parquet, dove “Gionmitraglia” seppe entusiasmare: il suo duello col “Barone” Gary Schull segnò l’inizio delle grandi sfide tra Virtus e Fortitudo, e fece ritrovare ai bolognesi la passione per la pallacanestro. Lui e il “Barone” gettarono le fondamenta della Città dei Canestri.
Oggi John Fultz ha passato la sessantina, insegna inglese a Napoli, ha un figlio (Robert) che ha vestito anche la maglia azzurra. Ha un talento per insegnare ai giovani che spesso non è stato sfruttato nel modo migliore. Ma ha anche uno spaccato di vita da raccontare, e quella vita ci riguarda da vicino. Il suo “Mi chiamavano Kociss” ha trovato sponda nella passione di LGS Sportlab, agenzia di Lorenza Guerra Seragnoli, e nella casa editrice Minerva di Roberto Mugavero, che ha inserito il suo libro nella collana “Sul filo di lana”: Perché la sua è una storia di sport, ma anche di smarrimento e rinascita interiore. E attraverso quella lancia un gran bel messaggio a beneficio delle nuove generazioni. Non solo quelle che vivono di basket.

L'Informazione di Bologna, 2 gennaio 2011

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