Talento
cristallino, brillò come una meteora nel cielo del basket bolognese, col Gira
in Serie A1. Poi scappò per rifugiarsi nella NBA
di Marco Tarozzi
Chi se lo ricorda, Bob
Elliott? A Bologna, quelli che avevano già il tarlo del basket a metà degli
anni Settanta, quando finita l’era dei duelli tra il Barone Schull e Kociss
Fultz, e passato lo scudetto “vent’anni dopo” della Virtus, quello del ’75-76,
firmato da Dan Peterson in panchina e Terry Driscoll in campo, alla ribalta del
massimo campionato si era affacciata una terza forza bolognese. Accanto a Virtus
e Fortitudo, anche il vecchio Gira tornava a riveder le stelle, e faceva
dannatamente sul serio. In due annate, era passato dalla B alla A1 con un
percorso quasi immacolato, 30 vittore in 31 gare nella prima stagione con
Zuccheri coach, poi 17 su 22 in A2 con la conquista della poule-scudetto dove
arrivò anche il successo sulla Virtus (79-75). Si presentava sulla grande ribalta
dopo dodici anni (l’ultima apparizione in quello che allora era il torneo
Elette risaliva alla stagione 1964-65).
TORNA IL GIRA – Dunque, ai nastri di
partenza della stagione 1977-78 c’è il glorioso Gira con uno sponsor
arrembante, Fernet Tonic, un condottiero scafato come Beppe Lamberti, un
capitano carismatico come Renzo Bariviera. E nel gruppo ci sono Meo Sacchetti,
ventiquattrenne, Dante Anconetani, un giovanissimo Marco Santucci. C’è
l’americano Steve Hayes, pivottone di 213 centimetri arrivato dalla Idaho State
University.
E poi, dopo un’estate in cui si è parlato anche troppo di contatti con due assi
come Tom Lagarde e Alvan Adams, ecco che arriva lui, Robert Alan Elliott, detto
Bob. Ventidue anni, nato ad Ann Arbor, nel Michigan, e uscito fresco dall’Università
dell’Arizona. Con I colori dei Wildcats ha lasciato un bel ricordo: ha
trascinato la sua squadra al successo nella Western Athletic Conference, nella
quale per tre stagioni è stato eletto nel team ideale, approdando per ben due
volte nel torneo NCAA. Abbastanza per farsi notare dalla Nba: I Philadelphia
76ers lo scelgono al secondo giro del Draft col numero 42, ma lo giudicano
ancora acerbo per il grande salto. E lui sceglie la strada dell’Europa, dell’Italia
e di Bologna, approdando nella terza squadra di Basket City, neopromossa e
ambiziosa.
GENIO E SREGOLATEZZA – E infatti la stagione
parte alla grande. La prima di campionato fa impazzire un palazzo pieno. E’
sabato, giorno fissato per le gare casalinghe del Fernet Tonic, e la società ha
sposato la politica dei biglietti gratuiti per gli studenti. Sono (siamo) in
tanti, a vedere quel debutto. Bariviera e compagni spazzano via Cantù, e gli
eroi di giornata sono proprio Hayes, 37 punti, e Elliot, 34. Bob fa scintille,
anche in allenamento: il suo repertorio di schiacciate, rimbalzi, palle
recuperate è un incantesimo, si intuisce che sa parlare un’altra lingua, quella
dei talenti puri. Ma ben presto il carattere si rivela un limite, e il rapporto
con gli italiani del gruppo si incrina. Nel derby con la Virtus, Elliott
contesta la decisione di un arbitro lanciandogli addosso la tuta: espulsione
immediata, e a seguire multa di 8mila dollari. Nel corso di un’altra partita,
reclama per un fallo subito ma l’arbitro ha una visione diametralmente opposta,
e penalizza lui. Invece di tornare in panchina, Bob fa alzare un tifoso nel
parterre e si mette a sedere al suo posto, a braccia conserte. Tocca a
Persiani, il direttore sportivo, andare a recuperarlo. E poi c’è la vita fuori
dal basket. L’Italia gli va stretta, ma in qualche modo si adatta alle notti
bolognesi, per non farsi prendere dalla malinconia.
TORNANDO A CASA – E’ il 16 marzo, quando
un comunicato della società ufficializza quello che era nell’aria da qualche
tempo. Bob Elliott proprio non lo capisce, questo basket. In Italia ha trovato,
assicura, arbitri con un metro diverso dal suo, e tifosi avversari che più che
tifare per I loro beniamini si accaniscono contro I giocatori avversari. Non ha
legato, “Bob il matto”. Fa le valigie in fretta e furia, e all’aeroporto di
Malpensa incrocia la Virtus al completo, di ritorno da una trasferta, e a Elvis
Rolle che lo guarda incredulo spiega tutto in due parole. “Back home”.
Fine dell’avventura, mentre il Fernet Tonic ha spento da tempo le luci di una stagione
che prometteva ben altro, e chiuderà in fondo alla classifica in compagnia
della Fortitudo, con 6 vittorie e 16 sconfitte, anche se poi non rischierà
nulla in poule retrocessione. I numeri di Elliott, che non tengono conto dei
chiari di luna, sono più che dignitosi: 23 partite con 447 punti, alla media di
19.4 a gara, una decina di rimbalzi meno di Chuck Jura ma migliore del
campionato per media/gara, 12.9. Che ci fosse del talento, dentro quella testa,
nessuno lo metterà mai in dubbio.
LE LUCI DELLA NBA – Negli States, si
aprono finalmente le porte della NBA. Bob Elliott ci resterà tre stagioni, fino
al 1981, sempre con il numero 55 dei New Jersey Nets, facendo bene la sua
parte: alla fine 141 partite giocate con 16,5 minuti, 7 punti e 3,6 rimbalzi per
gara, e un high score di 22 punti. Infine, dopo una stagione in CBA con I
Detroit Spirits, chiuderà la carriera ad alti livelli ad appena ventotto anni.
In tasca una laurea in Contabilità e Finanza, Elliott non si è mai staccato dal
mondo del basket. Presidente per un lungo periodo della Retired NBA Players
Association, la sua voce ha accompagnato dal 1999 al 2003 le versioni del videogioco
NBA Live. Vive a Tucson, in Arizona, dove è coinvolto in molte iniziative di
solidarietà. E’ un musicista apprezzato, e nel 2014 ha anche scritto (insieme
all’ex compagno dis quadra Eric Money) il libro “Tucson, a basketball town”,
che racconta la storia del basket alla University of Arizona e quella di Fred
Snowden, che nel 1972 divenne il primo coach afroamericano di una squadra
universitaria. Quattro figli, dieci nipoti, una vita felice. Nella quale, cosa
rara per gli americani di quell’epoca, c’è poco spazio per il ricordo di
BasketCity. Mentre qui, nonostante sia stata una meteora, sono in molti a
ricordare il suo talento.
Più Stadio, 8 aprile 2020