mercoledì 19 maggio 2010

Pompili, la nuova sfida ha un nome antico: K2


Torna in Baltoro, Giuseppe Pompili. Terra che lo attrae e in qualche modo lo respinge. «Evidentemente, quegli ottomila per me sono stregati. Tre volte li ho affrontati, tre volte sono tornato indietro a mani vuote. Anche se in un paio di occasioni sono arrivato a un passo dalla cima».
Ci riprova, l’alpinista bolognese che ha nel palmares due grandi Ottomila, Everest e Cho Oyu, e che è stato il terzo italiano a completare la serie delle Seven Summits, dopo Messner e Magliano. E lo fa ritentando la “montagna degli italiani”, il K2 o Chogorì, quello della conquista di Compagnoni e Lacedelli ma anche delle laceranti (e giuste) polemiche di Walter Bonatti, dei suoi diritti riconosciuti ufficialmente solo mezzo secolo dopo la conquista del ‘54.
Partirà ai primi di giugno, Pompili, con la solita spedizione “snella”, economica e autosufficiente, che però contempla una novità: accanto al trevigiano Adriano Dal Cin, fidato compagno di salite, ci sarà anche Sergio Valentini. Trentino, guida alpina, Valentini era tra gli uomini del Soccorso Alpino travolti da una valanga sul Pordoi lo scorso dicembre, mentre erano alla ricerca di escursionisti dispersi. Da quella tragedia, che fece quattro vittime, si salvò per miracolo. «Sergio ha esperienza, è forte ed è entrato subito nello spirito delle nostre cordate. Stile alpino, mezzi limitati un po’ per scelta e un po’ per necessità: basti pensare che alla voce “sponsor” anche quest’anno ho solo una compagnia telefonica che mi permetterà di ricaricare il cellulare a metà prezzo: così anche quest’anno potrò tediare i frequentatori della rete col mio blog...».
Scherza, e minimizza come al solito, questo “scalatore di città” che ha fatto della passione per la montagna, se non un mestiere, un punto fermo della sua esistenza. Ma è pronto alla sfida, e mai come quest’anno si sente a posto anche fisicamente.
«Ho appena effettuato l’ultimo test di soglia a Isokinetic, sotto le cure preziose del leggendario dottor Giulio Sergio Roi. Le verifiche dicono che, rispetto a un anno fa, sono molto più in condizione. Del resto, negli ultimi tempi sono riuscito a fare diverse uscite nelle Alpi, dove ho fatto i conti con un maggio terribile. Dalle parti del Cervino mi hanno accarezzato bufere niente male, diciamo che sono pronto a quello che mi aspetterà in Karakorum. Poi, il dottor Roi mi fa notare che sono tre chili sopra il peso forma. Ha ragione, ma non farò sacrifici per perderli, accadrà naturalmente: in ogni spedizione himalayana perdo regolarmente dai cinque ai sette chili».
Anche i dettagli sono stati studiati accuratamente. Nessun accanimento. La spedizione parte ai primi di giugno proprio per avere tutto il tempo necessario ad acclimatarsi.
«Passeremo un paio di settimane negli altipiani di Deosai, nei pressi di Skardu, salendo cime minori e dormendo oltre quota 4000. Una volta acclimatati, attraverso il passo di Gondoghoro raggiungeremo il campo base del K2. Qui resteremo, verosimilmente, fino ai primi giorni di agosto».
Sulla montagna degli italiani, i connazionali in cordata quest’anno saranno davvero pochi. «Probabilmente soltanto noi tre. I grandi nomi, da Marco Confortola a Simone Moro, sono in Himalaya adesso. Entrambi sul Lhotse. Confortola ha appena rinunciato alla vetta, Moro ci sta provando.. Ma le condizioni laggiù, mi dicono, stavolta sono particolarmente infide. Spero vada meglio quando arriveremo noi al campo base del K2».
Succederà intorno al 20 giugno, e da lì inizierà la salita vera. «Dura, anche lungo la via normale, lo Sperone degli Abruzzi, su cui ci avventureremo noi. Se ce la faremo, sarà la ventiseiesima ripetizione di un italiano. Non un record, me ne rendo conto. Ma io salgo lassù per me stesso, mica per fare l’exploit della vita. E se tutto andrà per il meglio, sarà ancora più bello farsi un viaggio Islamabad-Doha-Pechino-Pyongyang per andare a... riposarsi in Corea del Nord».

GIUSEPPE POMPILI, bolognese di 47 anni, ingegnere nucleare, è stato il terzo italiano dopo Messner e Magliano a completare la serie delle Seven Summits (avventura sulla quale ha scritto un bel libro edito da Minerva Edizioni), versione “Kosciusko”. Nel 2008 ha completato anche l’altra versione, quella che contempla la Piramide Carstenz come vetta più alta dell’Oceania, e dopo Messner è l’unico italiano ad aver firmato l’impresa con entrambe le varianti.
Ha all’attivo due ottomila: il Cho Oyu (8201 m) conquistato dal versante cinese nel 2002, e l’Everest, su cui è salito (primo emiliano) nel 2004. Nel 2007 ha tentato il concatenamento Broad Peak-K2, arrivando a un passo dalla vetta del primo. Un anno fa ha sfiorato la cima del Nanga Parbat, in un’estate tragica funestata dalla scomparsa, nella corsa alla vetta, dell’austriaco Wolfgang e della coreana Go.

L'Informazione di Bologna, 17 maggio 2010

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