martedì 18 maggio 2010

Sant'Antonio, il calcio perduto nella Bassa


Storia di confine e campanile, di argine e nebbia, di legami forti e sfide paesane. Storia di calcio puro, “vintage”, ai margini del mondo come questo piccolo posto della Bassa che fa festa come i grandi, con tanto di pullman scoperto che porta in giro per il borgo la squadra che ha costruito, vissuto, realizzato il Sogno.
Il Sant’Antonio ha fatto il grande salto. L’anno prossimo giocherà in Promozione, per la prima volta nei suoi ottantun’anni di storia. Perché qui si respira calcio dal 1929. Prima, fino al 1963, erano tornei amatoriali. Da lì in avanti, attività federale. Ballando da una categoria all’altra, ma mai potendo festeggiare un primo posto in campionato. Fino a domenica, a quel pareggio pieno di reti (4-4 nel derby con i cugini del Medicina, del cui comune Sant’Antonio è frazione), che tanto ricorda quello rocambolesco di due anni fa, che ebbe tutt’altro epilogo. Era la stagione 2007-2008, la squadra era al comando della classifica ma all’ultima giornata pareggiò 3-3 a San Benedetto e fu superata dal Castenaso. Poi, ai playoff, venne battuta dalla Vadese, che in campionato aveva racimolato diciannove punti in meno.
Stavolta è andata diversamente. Come si sperava e si sognava, e anche questo a vederlo adesso sembra un mezzo miracolo. Perché è vero che negli ultimi due anni il Sant’Antonio nei pronostici fa la parte del favorito della vigilia, ma è altrettanto vero che a Natale rincorreva a tredici punti dalla vetta, e ne aveva dieci da recuperare ancora a sette giornate dal termine. Una favola, che sia andata a finire così, col pullman scoperto e la gioia di una storica promozione. Ma non certo un caso. Lo sa bene Emanuele Righi, tecnico fuori dagli schemi (o “fuori dalle righe”, si potrebbe dire parafrasando il titolo della trasmissione che conduce su Futurshow Station). Uno che di calcio scrive sui giornali e parla alla radio. Ma che di calcio vive domenica dopo domenica qui, in questa periferia felice del pallone, da quattro lunghi anni.
«Sì, credo si possa dire che è stata un’impresa. Questa è un’ottima squadra, ma se la giocava con almeno altre quattro. E bisogna esserci, per capire quello che abbiamo fatto. Qui si va in campo in mezzo ai silos, alle spalle dello stadio c’è una vecchia fabbrica, gli spogliatoi sono vecchi e adesso, finalmente, saranno rinnovati. Ma dentro quel rettangolo c’è tanto cuore. E intorno persone come Barbara Antinori e Pino Renzi, marito e moglie, rispettivamente presidente e direttore generale della società. Due fenomeni, che fanno di una società a gestione familiare un gioiello, mettendo avanti valori diversi da quelli del calcio di oggi. Chi viene a giocare qui sa che un rimborso spese c’è per tutti, ed è sicuro. In cambio deve giocare per degli ideali veri, tutto qui».
Come ha fatto Vincenzo Maenza, cugino dell’ononimo campione olimpico di lotta, uno che ha giocato in B col Cesena negli anni Novanta. Come ha fatto Morgan Nani, che nel Brescia ha giocato con Roby Baggio ed è stato compagno di squadra di Viviano. Gente che a questi livelli fa la differenza, e che viene qui, nel mondo alla fine del mondo, grazie al lavoro di persuasione di Righi.
Il resto, ovvero tutto quello che serve, lo fanno loro, Barbara e Pino. Presidente e direttore generale, marito e moglie, vedetela come preferite. Hanno coinvolto le aziende locali, che partecipano e supportano sentendosi parte del gruppo, immedesimandosi nelle imprese della squadra. Hanno offerto alla gente di qui la possibilità di accendersi per un sogno di pallone. Il resto lo ha fatto il campanile. Domenica sera, il pullman della festa è passato da Fossatone con uno striscione: «Qui sapete fare le rane, ora ingoiate questo rospo». Storie d’altri tempi. Di un altro calcio. Che non esiste più, dicono. Niente di più sbagliato. Esiste. Se non ci credete fate un salto qui, nel cuore della Bassa. Dove c’è un piccolo borgo pieno di felicità.

L'Informazione di Bologna, 18 maggio 2010

foto di Stefano Bosi - Omnia Foto

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