giovedì 13 maggio 2010

L'ingegner Bonacini ha bruciato le tappe



La vita di Daniele Bonacini è un lungo atto d'amore per lo sport. Prima e dopo il dramma. Che sta lì in mezzo, un maledetto incrocio del destino da cui lui ha saputo ripartire, armato di passione e determinazione. Prima, dopo. In mezzo una data: 1993.
“L'anno dell'incidente stradale che costrinse i medici ad amputarmi la gamba destra sotto il ginocchio. Fino a quel momento ero sempre stato uno sportivo. Giocavo a calcio, a tennis, praticavo il surf. E' stata una brutta botta, improvvisa, ma non mi sono fermato. Ad aprile del '94 mettevo la prima protesi, a fine '95 il primo piede in fibra di carbonio. Nel '97 ho iniziato a fare footing al parco, e alla fine di quell'anno provavo una protesi da corsa preparata dal Centro Inail di Vigorso. Sono stato la prima persona a correre con una protesi uscita interamente da un'azienda italiana”.
Da allora, allenandosi sodo su piste e pedane d'atletica, Daniele ha raggiunto traguardi importanti. Ha partecipato a tre campionati europei e ad altrettanti mondiali, alla Paralimpiade di Atene, nel 2004, ha vinto titoli italiani, è salito ai vertici nazionali della velocità e del salto in lungo. Ha avuto anche le sue delusioni, naturalmente. E anche da quelle è sempre ripartito. “La più intensa? Quando mi hanno lasciato fuori dalla spedizione paralimpica di Sidney 2000. Avevo corso i 200 metri in 25”3, quarta prestazione europea e settima mondiale dell'anno. Il minimo “A” era più basso di tre decimi, 25 netti. Avrebbero potuto convocarmi, e un posto in finale me lo sarei guadagnato, e invece mi lasciarono a casa. Ma era un'altra organizzazione. Quelli che all'epoca guidavano il settore tecnico avevano la “fissa” delle carrozzine. E lasciavano a casa ciechi, amputati. Una vergogna. Ero così abbattuto che smisi di correre, e fu mia moglie a convincermi a ripartire. Dopo Sidney è cambiato tutto: dal presidente, che è diventato Pancalli, alla direzione tecnica. Sono tornato in pista, a prendermi le mie soddisfazioni”.
Nello sport, nello studio. E poi sul lavoro. Daniele ha una laurea di ingegnere meccanico e l'esperienza necessaria per metterla a frutto nel campo della diversa abilità in ambito sportivo. Negli ultimi tempi, tra professione e famiglia, ha virato deciso verso nuove priorità. “Due date in particolare mi hanno cambiato la vita. Il 25 luglio 2006, quando è nata mia figlia Elisa, e il 13 marzo 2007, quando ho deciso di fare il grande passo mettendo in piedi un'azienda, la Roadrunnerfoot Engineering, nata su spin off del Politecnico di Milano, presso il quale ho iniziato tre anni fa un dottorato di ricerca. Il mio mestiere l'ho costruito letteralmente sulla mia pelle. La misison è semplice: rendere la tecnologia più accessibile agli utenti. Mi spiego: oggi, se una persona vive il dramma di aver perso un arto, si ritrova di fronte a problemi anche economici. Deve pagare 2000 euro per avere un piede in carbonio, e dietro quella cifra c'è un ricarico di costi enorme, che può arrivare a sfiorare il 70 per cento. Ci sono troppi passaggi di mano. Per dire: un piede arriva dagli Usa, piuttosto che dalla Germania, e approda prima a un'azienda italiana, poi a un'ortopedia, infine all'utente. Se invece c'è un produttore italiano che vende direttamente all'ortopedia, un passaggio scompare. Se non addirittura due”.
Per l'ingegner Bonacini è prima di tutto una questione etica. “Un amputato ha bisogno del piede in carbonio per camminare. Io ho messo in piedi un'azienda, e certamente voglio fare utile. Ma non a scapito dell'utente. L'utile si fa scommettendo sulla tecnologia, sull'innovazione. E' questa la nostra sfida. Abbiamo brevettato un piede “da camminata” e vogliamo immetterlo sul mercato a basso costo. A una cifra di circa 900 euro, anziché 2000”.
C'è altro, a riempire le giornate di Daniele. Un'idea che si chiama “Disabili No Limits”. Un progetto in fase avanzatissima. “Abbiamo pensato a una Srl per produrre a basso costo e a un'associazione attraverso la quale donare piedi in fibra di carbonio, tutori, carrozzine. Penso a un operaio, a un pensionato che debbano comprarsi un piede da 2000 euro. Per riuscirci devono evitare di mangiare. Attraverso l'associazione cercheremo di avere quei soldi per acquistare le protesi e regalarle a chi ne ha bisogno, lavorando a stretto contatto con le istituzioni perché ci dicano chi ha veramente necessità. E insieme al CCM (Comitato Collaborazione Medica), organizzazione non governativa di cooperazione internazionale, lavoriamo a un progetto per portare protesi a bassissimo costo nei paesi dell'Africa dove il problema delle mine antiuomo ha decimato la popolazione creando centinaia di migliaia di invalidi. Se avremo risposte da una grossa fondazione e da un istituto bancario partiremo dall'Etiopia. Per poi raggiungere anche Mozambico, Zimbabwe, Angola”.
L'agenda è fitta di impegni. Delicati, nobili, importanti. Le presenze al campo sono, di conseguenza, un po' meno frequenti. “Ai tempi di Atene 2004 mi allenavo otto volte a settimana. Oggi lo faccio venti volte in due mesi. A fine marzo mi sono chiamato fuori per le Paralimpiadi, ma il mio allenatore dice che è una sciocchezza. Effettivamente, da quando affronto le gare senza pressioni, non per vincere ma per passione pura, ho una condizione invidiabile. Chissà, magari mi convincono a ripensarci. Solo che dovrei rivoluzionare la mia vita per la ventesima volta in un anno”.

Runner's World Italia

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