martedì 17 agosto 2010

Rossi-Ducati: "Saremo una Nazionale rosso fuoco"


di Marco Tarozzi

Il segreto di Pulcinella l’hanno svelato così. Ferragosto, dopogara a Brno, ore 18: per prima arriva la mail della Yamaha, con i saluti di rito a chi le ha regalato (e prima ancora costruito) quattro titoli mondiali in sette anni. Segue lettera della serie “è stato bello, ma anche le cose belle finiscono” scritta (a mano) e firmata da Valentino Rossi in persona. Last but not least, alle 18.38, il comunicato di Ducati, a suggellare il matrimonio. Come raccontare con parvenza di novità quello che tutti già sapevano. Dettagli compresi: due anni di contratto, tra i 12 e i 13 milioni di ingaggio coperti in buona parte dagli sponsor. Due anni per tentare il colpo che non riesce dal lontano 1972: pilota e moto italiani che vincono nella classe regina del Motomondiale. Allora era la 500, e il colpo riuscì per l’ennesima (ultima, scoprimmo poi) volta a Giacomo Agostini e Mv Agusta. Valentino ci prova con la Rossa di Borgo Panigale, ha due anni di tempo prima di farsi aprire i cancelli di un’altra Rossa, a quattro ruote.
Il giorno dopo le dichiarazioni di Valentino virano verso Ducati, dopo le parole di affetto per gli anni gloriosi vissuti con la casa di Iwata. «Insieme saremo la Nazionale della moto. Saranno due anni bellissimi, lo sento. Mi sono sentito corteggiato da Preziosi, provando le sensazioni che mi fece provare Furusawa nel 2003».
Già, Filippo Preziosi. Che ha lavorato dietro le quinte, con pazienza, perché il colpo andasse in porto. L’ingegnere che ha creato il Desmosedici da MotoGP ha anche aperto le porte al team di Rossi, e ormai pare certo che anche Jeremy Burgess, all’inizio molto titubante, seguirà il campione anche in questa avventura. Sull’argomento, Rossi specifica che «Non so con certezza chi verrà. Ne stiamo discutendo».
È convinto ed entusiasta, Vale, e i paragoni con l’altra svolta, quella di sette anni fa (da Honda a Yamaha) lo pungolano. «Quella Yamaha era molto meno competitiva della Ducati di oggi. Ma i tempi cambiano, sarà difficile anche adesso. Forse andrà meglio nel 2012, quando torneremo ai 1000 cc., ma per dirlo dovrei provare la moto».
Cosa che Furusawa non pare intenzionato a permettere subito dopo Valencia. C’era una sorta di gentlemen agreement, per il quale Vale e Ducati avevano evitato di annunciare il passaggio a Laguna Seca, dove Yamaha festeggiava. Ma i giapponesi non l’hanno presa bene. Volevano che Rossi chiudesse con loro. «Spero che Masao ci ripensi. Cambio anche perché a fine anno lui va in pensione. Per me la Yamaha era lui, con lui ho sempre parlato di tutte le questioni, non solo tecniche».
Passione e voglia di avventura, dietro la scelta. Non solo un ingaggio stratosferico. «Quello me l’offrivano anche in Yamaha. Stessa cifra. Non ho mai scelto per soldi, nemmeno quando avvevo vent’anni. Ora meno che mai».

IL PILOTA
Vale, quando il talento domina sul motore

di Silvestro Ramunno

Prendere Valentino è come ingaggiare Leo Messi. Conta la squadra sì, ma il fuoriclasse è lui. Anche nel motomondiale dell’elettronica, del traction controll, della frenata assistita, della moto progettata al meglio per andar forte su ogni circuito, Rossi ha dimostrato di sapere e poter fare ancora la differenza. Non gli sarà mai passato per la testa di scambiare un computer con Jeremy Burgess (il capomeccanico che ha deciso, dopo pressanti inviti, di seguire Vale nella nuova avventura).
Valentino Rossi è il miglior concentrato di talento, tecnica (guardate come ha trasformato la M1 che nel 2004 non valeva nulla) e cattiveria alla guida. Uno che ha spostato l’asticella dell’andare in moto un bel po’ più avanti. Ammirare quelle staccate al limite, le impressionanti rimonte e i corpo a corpo mozzafiato, ti fa apprezzare la splendida unicità di gesti atletici difficili da percepire in uno sport a 300 all’ora.
Un pilota totale che schianta gli avversari colpendoli nelle loro debolezze dentro e fuori la pista. La caduta in picchiata di Stoner è cominciata a Laguna Seca nel 2008, quando Rossi decise che l’australiano doveva star dietro; Lorenzo ha abbassato la testa dopo quel sorpasso im-pos-si-bi-le (definizione di Loris Reggiani) all’ultima curva a Barcellona 2009.
Manico e psicologia, il Dottore è già laureato sul campo e in cattedra, Yamaha o Ducati, ci sarà sempre lui. Certo, comincia una nuova sfida e Vale dovrà rimettersi in gioco: 32 anni, una gamba che deve ancora andare a posto, un carniere di titoli e vittorie (che solo Giacomo Agostini non invidia) che ti può bastare fino alla pensione.
Rossi le sfide non solo le ha accettate, le ha cercate. Ha lasciato una Honda imbattibile per accomodarsi su una Yamaha da mezza classifica. Welkom 2004, contro il rivale Biaggi approdato sull’Hrc ufficiale, è stata un capolavoro, così come Laguna Seca dopo due anni difficili che lo hanno tenuto lontano dall’iride o la Catalogna del 2009 con Lorenzo beffato quando già pregustava la bandiera a scacchi a casa sua.
E se ne potrebbero citare altre di gare perfette, anche negli anni bui, anche quando aveva le pessime Michelin e combatteva contro la “triade perfetta” pilota-moto-gomme, cioè Stoner-Ducati-Bridgestone. Mugello e Assen 2007 le dovrebbe studiare chiunque abbia intenzione di mettersi a fare gare con le due ruote.
Il binomio d’eccellenza del Made in Italy, Rossi e la rossa, l’immagine di Bologna proiettata in tutto il mondo, il Davide italiano contro i Golia giapponesi, sono tutte conseguenze, bellissime conseguenze che saranno apprezzate dalla città, dal popolo della rossa, dagli italiani che amano le moto, dagli economisti e esperti di marketing territoriale. Cose, però che resteranno a bordo pista, al massimo se ne parlerà durante le prove del venerdì. Quando si fa sul serio servono Filippo Preziosi (che lo ha accolto con parole bellissime), Jeremy Burgess e soprattutto il manico di Valentino.


LA MOTO
Una storia nobile e un progetto vincente

di Marco Tarozzi

Dicono: Rossi che passa da Yamaha a Ducati riporta alla memoria un altro grande cambio di scuderia, di rotta, di prospettive. Che riguarda, quando si dice il destino, l’unico pilota italiano la cui leggenda riesce ancora a tener testa a quella del Dottore, non fosse altro per numero di titoli iridati vinti. Ricorda, insomma, la scelta di Giacomo Agostini, che nel dicembre 1973 annunciò al mondo il suo addio alla mitica MV Agusta, con la quale correva dal 1965, e aveva vinto tutto, e il suo passaggio alla Yamaha. Il paragone è affascinante, perché mette in relazione i due centauri che più di chiunque altro hanno cambiato la storia del motociclismo. Ma in queste due storie l’unico punto in comune è l’età dei due protagonisti. Il grande Ago aveva trentadue anni quando decise di cambiarsi il destino. Valentino ne avrà trentadue quando affronterà il Mondiale MotoGP in sella alla Desmosedici. Il resto è dissonante. Agostini se ne andò da una Mv Agusta in difficoltà: un’azienda in cui la crisi, iniziata con la morte del conte Domenico Agusta nel ‘71, sfociò nel ritiro definitivo dalle corse. Il Dottore abbandona il team e la moto più forte, quello che ripartirà la prossima stagione con in casa il campione del mondo. E lascia una moto, la M1, che è diventata la più forte del lotto grazie al lavoro suo e del suo team.
Valentino ha una certezza, però. Non fa un salto nel vuoto. Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando Ducati è tornata a dipingere di rosso i circuiti della classe regina. Il progetto MotoGP è cresciuto, è diventato grande: otto campionati, compreso quello in corso, un titolo mondiale, mille emozioni per un popolo che non ha mai tradito la sua fede. È cresciuto nel cuore di un’azienda che, in quanto a dimensioni, non può battersi con i grandi imperi del Sol Levante, ma in quanto a risultati ha saputo riportare ad alta quota la creatività e la tecnologia della scuola italiana. Rossi entra in un mondo pieno di storia. Che parla della genialità delle prime grandi invenzioni dell’ingegner Taglioni, dei primi giorni di gloria sulle strade del Motogiro e della Milano-Taranto, del grande ritorno con la 750 bicilindrica desmodromica alla 200 Miglia di Imola, nel ‘72, con la storica doppietta Smart-Spaggiari. E di Mike Hailwood, re del Tourist Trophy ‘78 con la 900 SS, e del lungo regno in Superbike battezzato dalla vittoria di Lucchinelli nella prima gara della categoria, a Donington nell’88. E ancora della discesa in campo in MotoGP, pensata nel 2002 e realizzata un anno dopo. Il progetto Desmosedici GP, voluto e realizzato da Filippo Preziosi e Claudio Domenicali. E una moto da molti considerata scorbutica, buona per un talento puro come Casey Stoner, che ci ha vinto il titolo nel 2007. Eppure, anche Loris Capirossi ci ha fatto cose egregie, e anche lui ha mancato l’iride di un soffio, un anno prima dell’australiano. Valentino, insomma, sposa Ducati anche per cancellare i luoghi comuni. Da novembre si metterà al lavoro e a suo modo volterà pagina. Non resterà che aspettare il risultato di questo incontro unico. Talento, professionalità, voglia di stupire ancora. A pensarci, pilota e moto hanno lo stesso carattere.



L’Informazione di Bologna, 17 agosto 2010

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