mercoledì 1 settembre 2010

Malesani, a Bologna per rinascere


di Marco Tarozzi

Arriva oggi a Casteldebole, Alberto Malesani. Per chiudere. Il contratto che lo legherà al Bologna e un passato che evidentemente alla nuova dirigenza non quadrava. Ci sta, le scelte le fa chi sta ai posti di comando. Si può discutere sul metodo con cui Franco Colomba è stato allontanato dalla panchina, senza passare per nostalgici. Solo una considerazione: che il feeling non ci fosse era chiaro a tutti, anche se si cercavano parole sfumate per sottolinearlo. Si immaginava che per il tecnico dell’ultima salvezza sarebbe stata una corsa in salita. Oggi ci si chiede se non sarebbe stata una scelta migliore salutarsi subito, senza rancore. O usare parole meno pesanti per il commiato. Colomba aveva le sue idee, la società ne aveva (ne ha) altre. Ma se lunedì sera il migliore in campo, insieme a Viviano, è stato Mudingayi, un giocatore recuperato da Colomba quando era ormai fuori rosa, un anno fa, è ingeneroso dire che in questo pari con l’Inter lui non c’entra.
LA BUONA TERRA - Lo hanno definito “contadino del pallone”, senza offesa. E infatti lui non si offende. Ci si riconosce, in questa definizione. «Io vengo da un mondo dove devi rimboccarti le maniche, dove ogni giorno c’è un raccolto da portare a casa. Ho sempre lavorato e faticato perché mi piace farlo. Anche nel calcio c’è sempre un raccolto da portare a casa. E io senza pallone non so stare».
È un mondo che gli ha dato tanto e gli ha tolto altrettanto. Che lo ha lanciato quando era uno sconosciuto e lo ha fatto cadere quando aveva imparato a volare. Un mondo difficile. Ci ha sguazzato dentro negli anni migliori: a Firenze, arrivato dopo anni convincenti al Chievo. Soprattutto a Parma, dove ha vissuto le sue stagioni in Paradiso dal 1998 al 2001, infilando nella collana una Coppa Italia, una Supercoppa Italiana e soprattutto, più di tutto, una Uefa indimenticabile, ultimo tecnico italiano a centrare l’obiettivo. Poi Verona, una parentesi difficile a Modena, il Panathinaikos dove una sua sfuriata contro i giornalisti in sala stampa è diventata un “cult” ancora oggi cliccatissimo su youtube. Un po’ di respiro a Udine, altre delusioni (con esonero in primavera) a Empoli. E nella scorsa stagione l’offerta di una panchina avvolta dal filo spinato, quella di un Siena che già a fine novembre sembrava condannato alla retrocessione. Non ha cambiato il destino della squadra toscana, Malesani, ma le ha dato una scossa, e più di una speranza durante la corsa.
UOMO DI CAMPO - È uno che preferisce la tuta al completo d’ordinanza, il tecnico veronese. Uno poco avvezzo alla diplomazia. Che quando gli girano, non la manda a dire. Uno che ha sempre saputo valorizzare i giovani, e a questo deve aver pensato il presidente Porcedda quando ha sovrapposto la sua immagine all’identikit dell’allenatore che aveva in testa per il suo Bologna. È anche vero che le cose sono cambiate, dai tempi di Parma. Allora non avrebbe preso squadre in corsa, come ha fatto a Udine, a Empoli, a Siena. Prima costruiva i progetti in prima persona, ora deve prenderli già confezionati da altri. Lo ammette lui stesso: «Forse non sono più quello di anni fa, ma il pallone per me ha il significato di allora: gioia e lavoro, felicità e passione».
Prende un Bologna costruito da Porcedda e Longo. Ma è una situazione ben diversa da quella di un anno fa. C’è talento e gioventù, c’è una squadra che ha debuttato con orgoglio e rabbia agonistica. Per lui può essere la grande occasione. Per tornare a volare.

L'Informazione di Bologna, 1 settembre 2010

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