Il 3
giugno, a quattro giorni dallo spareggio, Renato Dall’Ara è in Lega a Milano
per discutere di premi partita col collega Moratti. E lì il suo cuore cessa di
battere
di Marco Tarozzi
Sono giorni concitati, convulsi. Perché un
finale di campionato così non si era mai visto, né mai più si vedrà. Il 16
maggio è arrivata la decisione finale ed inappellabile della Caf riguardo alla
vicenda-doping, che ormai è palesemente derubricata alla voce “solenni
montature”. Il Bologna, innocente come i suoi cinque incriminati, riottiene i
tre punti che gli erano stati tolti con un’ingiusta penalizzazione e si ritrova
in cima alla classifica, a pari merito con l'Inter. E nella stessa situazione
le due prime della classe si trovano dopo il fischio finale delle partite
dell’ultima giornata, il 31 maggio: un rigore di Haller dà ai rossoblù la
vittoria sulla Lazio, mentre un’Inter affaticata dalla sfida vittoriosa di
Coppa Campioni col Real Madrid batte l’Atalanta, 2-1. La classifica dice che
Bologna e Inter sono prime a quota 54. Occorre lo spareggio, novità assoluta
nella storia della Serie A. E bisogna pensare a tutto, anche ai dettagli, in
pochi giorni.
DIVERSI
E UGUALI
– Focus sui presidenti, adesso. Dall’Ara e Moratti sono così diversi e così
uguali. Entrambi hanno costruito le loro fortune partendo dal basso, per
necessità o per scelta. Renato Dall’Ara, per dire, da un piccolo maglificio poi
diventato fabbrica, più precisamente laboratorio di confezioni “lana purissima”
su cui ha costruito le fortune personali. Angelo Moratti, figlio di borghesia
benestante, padre farmacista, si è allontanato ancora ragazzo dalla famiglia,
dopo la morte della madre e la difficile convivenza con la matrigna; a partire
da quando aveva sedici anni ha fatto molti mestieri, poi da rappresentante di
combustibili è diventato produttore, da oltre trent’anni precorre i tempi e
cavalca l’onda di scenari in evoluzione, ha fondato da appena due anni il
colosso Saras, in Sardegna, ed è ormai considerato il “grande petroliere
d’Italia”.
IL
PADRONE SONO IO
– Hanno un modo molto simile di trattare l’argomento calcio, e di gestire le
loro società. Presidenti-padroni, che si muovono in prima persona senza
necessità di avere intorno troppi consiglieri. Filiera che più corta non si
può. Non si contano i “ci penso io”
di Dall’Ara, e significano esattamente questo, che il problema va risolto in
prima persona. Quanto a Moratti, vale per tutto una sua dichiarazione: “Tutta l’Inter è personalmente mia”.
Ecco, ad una manciata di giorni dallo spareggio del 7 giugno, tocca a loro
dirimere anche le ultime questioni.
Dall’Ara non si fa certo intimorire dal carisma del petroliere. Va giù deciso,
a margine di un’intervista concessa in quei giorni a Luciano Parisini: “Senta, sa cosa ci dico io a quello lì: mi
faccia il pieno e mi lavi i vetri…”
TRISTI
AVVISAGLIE
– “Vado nel suo ufficio a Milano e gliene
dico quattro. E ci vado da solo!”. Dall’Ara non sta bene e lo sa. Ha il
cuore malandato, gli consigliano di non affrontare le fatiche di un viaggio,
seppur breve. E’ reduce da una lunga convalescenza, due mesi a letto e una
villeggiatura a Napoli, dopo che l’esplosione del “caso doping” gli aveva dato
il colpo più forte e brutto di tutti. E’ tornato al Comunale dopo una lunga
assenza proprio per assistere alla partita dell’ultima giornata contro la
Lazio, ma ha dovuto prendere anzitempo la strada di casa. Troppe emozioni,
soprattutto nel momento in cui ha circolato la notizia, poi evidentemente
risultata falsa, del pari tra Inter e Atalanta e del conseguente scudetto già
cucito sulle maglie rossoblù. A posteriori, un osservatore attento come
Vittorio Pozzo scriverà che “gli sono state fatali proprio le
emozioni di quella sera”.
Proprio per questo il consiglio è quello di
non prendere la strada per Milano. Ma lui non sente ragione, deve salvaguardare
il suo Bologna, i suoi ragazzi, il suo sogno che, dopo anni di vacche magre, ha
saputo ricostruire con pazienza e intelligenza.
FACCIA
A FACCIA
- Non serve, andare nell’ufficio di Moratti. La convocazione arriva dal
presidente della Lega Nazionale, Giorgio Perlasca, e Dall’Ara mercoledì 3
giugno sale in auto a Milano insieme alla moglie Nella e al medico di fiducia,
il dottor Pinetti. C’è da stabilire l’entità del premio partita da erogare ai
giocatori impegnati nello spareggio dell’Olimpico, e il presidente rossoblù
vuole che le cifre siano eque e ben distribuite. Perlasca ci vede anche
l’occasione per allentare la tensione in vista della sfida, ed attenuare le
frizioni tra le due società, alimentate anche da una stagione piena di colpi di
scena a tinte gialle.
Moratti arriva alle 17.22, i tre si chiudono nell’ufficio di Perlasca. La
signora Nella ne approfitta per andare a fare qualche commissione, quello che
adesso chiameremmo “shopping”, il dottor Pinetti resta al di là della porta, in
sala d’attesa. La discussione parte serena, e ufficialmente resta tale fino
all’epilogo, ma nel tempo si comincerà a parlare di toni che si erano fatti via
via più concitati. Ci sta, Dall’Ara ha un carattere impulsivo, ed è lì per
difendere il Bologna. All’improvviso, si appoggia allo schienale della sedia,
poi si piega verso sinistra, cade quasi in grembo a Moratti che lo sorregge.
Arriva il dottore, è una questione di secondi. Ma non c’è niente da fare:
infarto fulminante, il presidentissimo questa volta ha chiuso gli occhi per
sempre.
IN NOME
DEL “PRES”
– Ha soltanto settantadue anni, Dall’Ara, nei quali ha accumulato troppe
fatiche. Al Bologna ha dato trent’anni di passione e, al momento della morte,
tanta splendida argenteria per la bacheca: quattro campionati italiani (in attesa del quinto, da
conquistare a giorni), una Coppa Europa, il Torneo dell'Esposizione di Parigi,
la Coppa dell'Europa Centrale.
La notizia arriva a Bologna in un attimo, la sconvolge. La società chiede un
rinvio, che viene respinto. Si deve giocare il 7 giugno, non c’è tempo per
elaborare il lutto. Destino assurdo: Dall’Ara non potrà vedere il capolavoro
finito, dopo tanti anni di sofferenza, di critiche, di lavoro per riportare il
Bologna ai vertici. Ma se la sorte è stata spietata, se la salita è stata così
dura, adesso il Bologna ha un motivo in più per farsi padrone del proprio
destino e portare a casa quel settimo scudetto.
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Stadio,
3 giugno 2020